Incontro intorno a lirica e società

2 marzo 2019

Casa della Cultura

Via Borgogna – Milano

A sessant’anni di distanza dal Discorso su lirica e società di Adorno, possiamo ancora affermare che “il prodotto lirico è sempre anche l’espressione soggettiva di un antagonismo sociale”? E che nella poesia più avvertita si esprimerebbe una “reazione alla reificazione del mondo”, se non “il sogno di un mondo in cui le cose stiano altrimenti”? Oppure la mutazione radicale del panorama sociale impone un ripensamento anche del ruolo della poesia e del suo legame con l’universale? E se potessimo ancora guardare alla “poesia come meridiana della filosofia della storia”, quali direzioni ci indicherebbero le scritture contemporanee?

Muovendo da queste domande, l’incontro “Lirica e società / Poesia e Politica”, promosso dalla rivista di poesia, arti e scritture “L’Ulisse”, con il sostegno della
Fondazione per la Critica Sociale, e organizzato da Paolo Giovannetti e Italo Testa, invita importanti poeti e critici attivi nel panorama contemporaneo a
riflettere in prima persona sui modi in cui, oggi, il linguaggio poetico si rapporta, direttamente o indirettamente, con il vivere sociale, attraverso lo stile e/o il contenuto, la postura autoriale ecc., instaurando un rapporto critico, magari contraddittorio, con le forme di vita del nostro tempo.

Sui “gilet gialli” (2)

gilet gialli

di Rino Genovese

Il conflitto sociale aperto in Francia dai “gilet gialli” dura ormai da tre mesi, non accenna a placarsi, e – sebbene la partecipazione alle manifestazioni, com’è fisiologico, sia in calo – non pare che lo sia la violenza degli scontri. Di fronte all’assurdo e criminale uso delle flash-ball da parte della polizia, che provocano lesioni anche gravi, i manifestanti hanno messo in pratica una distruttività rivolta contro le cose, e si sono organizzati con squadre di pronto intervento capaci di soccorrere i feriti. Questa e altre forme di solidarietà nella lotta – tutt’uno con l’autorganizzazione – sono un aspetto rilevante e perfino commovente di qualsiasi movimento strutturato, come ormai può essere definito quello dei “gilet gialli”.

Ma la sua ambiguità politica resta intera. Direi che è costitutiva di un’insorgenza nata da una rivolta antifiscale (in particolare riguardo a una tassa “ecologica” sui carburanti), su un piano quindi ridistributivo: un movimento che individua la controparte nel governo e nel presidente della Repubblica (per via di quella “monarchia repubblicana” caratteristica del sistema francese, e certo a causa delle sue politiche che, per fare un esempio, hanno abolito la “tassa di solidarietà sulla fortuna”), ma non la individua nel padronato, tutt’al più nella finanza e nelle banche, secondo una postura consueta nei populismi, di destra o di sinistra che vogliano essere. È un movimento bianco, anche se con una forte presenza femminile, che non si cura minimamente di coinvolgere i dimenticati delle banlieues (gli emarginati “di colore” che nel 2005 avevano dato vita alle “notti dei fuochi”), e neppure cerca un’alleanza con il sindacato (quello dei ferrovieri aveva promosso nel giugno scorso una serie di agitazioni non da poco, rimaste tuttavia scollegate dalla realtà sociale nel suo insieme), molto interno ai bisogni della provincia francese (che, per chi non la conosca, è un altro paese rispetto a quello della grandeur parigina), infine diviso politicamente sull’atteggiamento da tenere riguardo alle elezioni europee. Evidente, infatti, che una o addirittura più liste che si richiamassero ai “gilet gialli” sarebbero un favore fatto a Macron, perché frammenterebbero un’opposizione già, peraltro, molto frammentata; mentre, d’altro canto, la prospettiva di votare per i due aspiranti leader peronisti – cioè Mélenchon o Marine Le Pen – sancirebbe una perdita di autonomia da parte del movimento.

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Roma-Gra

La città spezzata

Roma-Gradi Walter Tocci

[Il 7 febbraio scorso, nella Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”, è stato presentato il volume di Alessandro Lanzetta, Roma informale. La città mediterranea del GRA (Manifestolibri, 2018). Sono intervenuti Enzo Scandurra, Carlo Cellamare, Massimo Ilardi e Walter Tocci. Riproponiamo l’intervento di quest’ultimo].

Questo piccolo libro pone al centro la più grande questione di Roma, cruciale e di enorme complessità: che cosa ne faremo della città del Grande Raccordo Anulare? Appaiono ormai fuori gioco tutte le tecniche, le ideologie, l’intero immaginario novecentesco attraverso cui in passato abbiamo pensato la questione. Si tratta di una vera e propria sfida, e Alessandro Lanzetta, con uno stile aforistico, allusivamente nietzschiano, cerca di mettere a punto gli strumenti che potrebbero servirci in futuro.

Anzitutto nel suo libro c’è una messa fuori causa del mainstream urbanistico, mediante una critica ironica, sprezzante – e sarebbe questo un lavoro da fare oggi in modo militante. Abbiamo infatti una frattura nel pensiero su Roma. Tutta la classe dirigente (di cui io stesso porto una parte di responsabilità) pensa ancora con le categorie del “modello Roma”. È un detrito che rimane, un maistream vecchio e superato. Le cose interessanti provengono invece da giovani studiosi, policy makers, avanguardie culturali, che restano però del tutto isolate. Continua a leggere “La città spezzata”

Perché Battisti?

Cesare Battisti

di Mario Pezzella

Che un detenuto sconti la pena per cui è stato condannato rientra in quella che si conviene di chiamare la nostra civiltà giuridica, anche se condivido la posizione espressa in questo sito da Rino Genovese sulla necessità di un nuovo processo per Cesare Battisti1; che un detenuto, chiunque esso sia, sia esposto a un disgustoso ludibrio mediatico, moralmente linciato, e sottoposto a misure detentive disumane e ingiustificate (dato che è difficile supporre che Battisti abbia un potere di evasione o di comando simili a quello dei capi mafiosi o di Carminati) è invece un puro segno di barbarie pregiuridica; forse anche di rammollimento cerebrale, come traspare dal video ignobile postato dal ministro della giustizia.

Ma lasciando la cronaca del caso, vorrei fare qualche riflessione di carattere più generale. Perché ministri del governo italiano, a quarant’anni di distanza dai crimini di cui è accusato, allestiscono un buffonesco trionfalismo mediatico sull’arresto di Cesare Battisti?

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Battisti, processo da rifare

Cesare Battisti

di Rino Genovese

Quando l’eco mediatica e propagandistica intorno alla cattura di Cesare Battisti e al suo rientro in Italia si sarà spenta, si dovrà ritornare sulle ragioni che hanno spinto alcuni di noi a difenderlo in tutti questi lunghi anni. Il militante dei Pac (“Proletari armati per il comunismo”) avrà di sicuro la responsabilità politica e morale degli atti terroristici compiuti, degli omicidi, delle rapine e quant’altro, ma non si può proprio dire che abbia ricevuto un trattamento giudiziario equo. Condannato all’ergastolo in contumacia, cioè in un processo svoltosi in sua assenza – che, in alcuni ordinamenti, tra cui quello francese, dev’essere obbligatoriamente ripetuto quando poi si dia la presenza dell’imputato –, Battisti è stato giudicato in base a una legislazione di emergenza che ha consentito ai collaboratori di giustizia – i cosiddetti pentiti – di ottenere notevoli benefici e sconti di pena. È evidente che, se uno dei co-imputati è un fuggiasco evaso dal carcere, come nel caso di Battisti, si tenderà a scaricare su di lui gran parte delle responsabilità penali. E i riscontri, che i magistrati sono comunque tenuti a fare, sono pressoché impossibili in assenza delle dichiarazioni dell’imputato. Battisti è stato condannato per un insieme di reati gravissimi senza che vi sia stato alcun confronto con chi lo accusava. Ciò anche senza parlare di episodi di tortura, che in questa vicenda non sono documentati, mentre lo sono in parecchi altri casi, confermati da funzionari di polizia come il mio quasi omonimo Rino Genova e il tenebroso Nicola Ciocia, soprannominato professor De Tormentis dai suoi stessi colleghi. Continua a leggere “Battisti, processo da rifare”

La filosofia politica come critica sociale

10,00 – Introduce e presiede: Barbara Henry

10,30 – I SESSIONE: Metodi, forme e pratiche della critica sociale
Alfonso Maurizio Iacono: Marx, la critica sociale e la condizione postmoderna
Vinzia Fiorino: L’”utopia della realtà”: una riflessione su Franco Basaglia
Vincenzo Mele: Come è possibile un intellettuale? Teoria e pratica della critica sociale a parre da Pierre Bourdieu
Marco Solinas: Sul posizionamento del critico sociale
12,30 – Discussione

14,15 – II SESSIONE: La critica dei populismi

Rino Genovese: Può la cosiddetta filosofia politica affrontare la questione dei populismi?
Giuliano Guzzone: Ernesto Laclau e la “presenza assente” della categoria gramsciana di “rivoluzione passiva”
Anna Loretoni: Aspetti regressivi nelle democrazie contemporanee
Luca Corchia: Sfera pubblica e comunicazione politica online. Il modello analitico habermasiano e lo stile populista
Serena Giusti: La Russia è immune dal populismo?

16,45 – Discussione

17,30 – Conclusioni: Barbara Henry

Sui “gilet gialli”

di Rino Genovese

 Che si tratti di un conflitto sociale vero e proprio è fuori discussione. Nella Francia delle scorse settimane nulla di ciò che contrassegna una rivolta è mancato: l’autoconvocazione attraverso i nuovi media, poi i blocchi stradali, i più tradizionali scontri con la polizia, gli incendi, i danneggiamenti, i saccheggi. Il conflitto dei “gilet gialli” (inizialmente provocato da un aumento della fiscalità sui carburanti per finanziare la “transizione ecologica”) è senz’altro di ampia portata, qualcosa che – aspetto nient’affatto secondario –mette la provincia francese contro la capitale. Parigi è oggi una metropoli abitata da una specie di neo-aristocrazia, da una élite del denaro, delle professioni e del commercio, con il suo centro di potere definito da quella “monarchia repubblicana” tipica del presidenzialismo di matrice gollista.

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Proposta di una rivista

Altraparoladi Mario Pezzella

Questo volume è dedicato a Miguel Abensour, il grande filosofo francese della politica, scomparso nel 2017. Non vuol essere solo un omaggio, ma una riflessione sulle più importanti linee di pensiero che egli ci ha lasciato in eredità. La sua opera, nonostante alcune traduzioni, è ancora relativamente poco conosciuta in Italia: noi pensiamo che i temi da lui trattati – l’utopia, il totalitarismo, la servitù volontaria – richiedano l’ora della loro leggibilità, pretendano anzi con urgenza di essere meditati, di fronte al possibile ritorno di una barbarie autoritaria e razzista. Questo volume prefigura un lavoro più generale, che prenderà probabilmente la forma di una rivista nel prossimo futuro: Altraparola. Il nostro pare uno di quei momenti della storia che Benjamin definiva col termine di “dialettica in stato di sospensione” o “in sospeso” o “sospesa”. Le forze in conflitto sono tese l’una contro l’altra in modo tale da non riuscire a prevalere o affermarsi in modo da determinare un nuovo evento, un’altra forma di vita o una decisione. “In sospeso” significa qui dunque tutto il contrario che “in quiete”, come tendevano a pensare i pensatori della fine del secolo passato che si illudevano su una fine postmoderna della storia, dei grandi conflitti e delle grandi narrazioni. Le quali sono riprese a ritmo violento (dal fondamentalismo al neofascismo) e non sono purtroppo rassicuranti. Questo non vuol dire che ricordare il pensiero il quale, nel Novecento, si è sforzato di indicare un altro mondo possibile rispetto a quello in cui ora viviamo sia inutile; ma ciò che ci interessa va estratto con cura, con un’operazione critica, da insiemi e apparati concettuali, che non possono più essere assunti nella loro interezza. Ciò vale anche per le tradizioni di teoria critica a cui siamo più legati: la Scuola di Francoforte, Benjamin, Debord e il situazionismo, Arendt, Foucault. L’orizzonte di senso della nostra ricerca è quello di un “socialismo libertario”, che pone al centro – come ebbe a definirlo Marx nei Grundrisse – la nozione di “individuo sociale”.

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Per un’Europa sociale e politica

Europadi Rino Genovese

[Testo dell’intervento al convegno “Quale Europa?”, Firenze, 27/10/2018]

Se si va a vedere, non ci sono mai state le forze soggettive per realizzare l’unità europea, meglio ancora un federalismo europeo. Non c’è mai stato un blocco sociale che ha sostenuto questa prospettiva. Neppure i sindacati hanno mai realmente svolto un ruolo in questo senso. Ci sono state nella storia delle élite tutt’al più che ne hanno parlato, o ne hanno vagheggiato. È il caso, ancora nel pieno della seconda guerra mondiale, del famoso Manifesto di Ventotene. Ma se si va a rileggere questo testo non si trova alcuna indicazione utilizzabile oggi, neppure nel senso di una sua possibile rivisitazione. I suoi estensori sono critici della sovranità statale (che ritengono foriera di imperialismo e di guerre), sono contrari al collettivismo marxista, sono antiprotezionisti e libero-scambisti in economia e giacobini in politica, prendendo anche in considerazione un periodo di dittatura rivoluzionaria al momento della caduta del fascismo, che per loro, quando scrivono, è ancora lontana. Sono coerentemente elitisti, parlano di minoranze rivoluzionarie (e nel testo, pur nella critica del comunismo, c’è un apprezzamento per Lenin che avrebbe saputo imporre l’azione di un’avanguardia rivoluzionaria).

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Il capitalista e il padrone. Note su Marx e Lacan

di Mario Pezzella

[Relazione presentata al convegno Marx e la critica del presente (novembre 2018) e apparsa, in forma leggermente diversa, in P.P. Poggio, C. Tombola (a cura di), L’ultima rivoluzione. Figure e interpreti del Sessantotto, Brescia, Fondazione Micheletti, 2019].

Non parlerò in questa sede di Lacan in generale; mi limito a ricordare che secondo gli interpreti più autorevoli1 esistono tre periodi nel suo pensiero, con caratteri anche molto diversi: il primo, dominato dalla logica kojeviana-hegeliana del riconoscimento intersoggettivo (la relazione analitica parte da una parola vuota, in cui il paziente si trova nella posizione del servo di fronte a un padrone supposto-sapere; l’analisi rovescia questa dissimmetria, dissolvendo la struttura stessa del rapporto servo-padrone e lasciando emergere la singolarità irriducibile del soggetto e del suo desiderio); il secondo dominato dalla concezione dell’inconscio come linguaggio e dallo strutturalismo dell’ordine simbolico; il terzo in cui l’onnipotenza di questo ordine si sgretola, di fronte all’impossibilità di assorbire completamente nel simbolico pulsioni e singolarità soggettive (o ciò che Lacan chiama l’irriducibile e perturbante Reale)2. Noi ci occuperemo solo di quest’ultimo periodo e precisamente di alcuni nodi problematici in cui Lacan si confronta col pensiero di Marx ed emerge la sua concezione dell’inconscio sociale. Scarto di proposito quelli che si prestano solo a una vaga analogia e mi rivolgerò a tre livelli o tre gradi di pensiero: il discorso del capitalista, il lato osceno del potere, l’alienazione.

Nel corso di scritti e seminari tenuti negli anni dal 1968 in poi3, Lacan ha sempre più distinto un «discorso del capitalista» dal tradizionale «discorso del padrone». Il primo sarebbe caratterizzato da una inedita «ingiunzione al godimento», caratteristica del capitalismo nella sua fase di dominio della fantasmagoria consumista delle merci, mentre il secondo era ancora dominato dal rapporto servo-signore e dalla lotta per il riconoscimento. Questa riflessione di Lacan è direttamente condizionata dagli eventi del ’68 e dal difficile dialogo con gli studenti in rivolta, i quali, secondo Lacan, avrebbero continuato a ragionare pensando a un «padrone repressivo» nei riguardi del desiderio, piuttosto che a un capitalista produttore di godimento consumistico.

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Le due possibili teorie della soggettività in Marx

di Roberto Finelli

Il tema torna ad essere quello della compresenza in Marx di due definizioni e identificazioni della soggettività storica, che appaiono essere di scarsa compatibilità tra loro. La prima vede coincidere produzione con rivoluzione, nel senso che il soggetto del lavoro è immediatamente il soggetto di una trasformazione storica. Ed è soggetto universale – erede in ciò della filosofia classica tedesca – per questa sua identità di soggetto fabbrile.

Tale carattere “ontologicamente universale del soggetto fabbrile” sta alla base sia della filosofia della storia delineata nel materialismo storico sia della teoria della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione, fino a includere nella sua presupposizione anche la mitologia del General Intellect e del Cervello Sociale depositata nei Grundrisse. A tale teoria fortemente identitaria e antropocentrica della soggettività appartiene non a caso anche la celebrazione del “lavoro vivo” come principio di un vitalismo umanistico non sufficientemente argomentato e come presunta eccedenza originaria e permanente rispetto al rapporto sociale capitalistico.

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Marx e la questione di genere

di Tania Toffanin

Lo sforzo operato in questo contributo è volto ad esplorare le relazioni di genere e il lavoro riproduttivo nell’opera marxiana. L’analisi segue l’itinerario cronologico delle opere di Marx con un’attenzione specifica alle opere giovanili e al Capitale. L’analisi intende cogliere alcuni aspetti che fino ad ora sono stati sviluppati in modo limitato e offrire alcuni spunti relativi alle potenzialità e alle criticità esistenti nelle opere di Marx.

Di fatto, il lavoro riproduttivo non occupa un ruolo marginale o secondario nella giornata lavorativa, né esso può essere considerato accessorio alla produzione diretta di beni e servizi. Tuttavia, il valore del lavoro svolto all’interno della sfera riproduttiva, vitale per la sopravvivenza della specie umana, è stato, e in parte ancora è, disconosciuto, ricondotto a elemento costitutivo, “naturale”, intimamente connesso ai rapporti di parentela e prossimità. Per contro, esso va visto come materialmente e storicamente determinato.

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La società nei Grundrisse. Tra indifferenza e individuazione

di Luca Basso

La relazione si fonda sull’analisi della società nei Grundrisse, e sulla sua connessione strutturale con l’individualità: solo a partire dal sistema capitalistico, nella sua differenza specifica rispetto alle forme precapitalistiche, si può parlare in senso stretto sia di società sia di individualità. Al centro del discorso sulla società si trova la co-implicazione, solo apparentemente paradossale, fra indifferenza e individuazione.

Anche utilizzando la Einleitung del 1857, si mostrerà come non solo la società ma anche l’isolamento possiedano in Marx un’ambivalenza costitutiva, articolando una prospettiva comunista non basata su un dominio del “sociale” sull’“individuale”. Si cercherà così di mettere in luce, nell’ottica di una critica del presente, la rilevanza cruciale della posta in gioco di Marx in merito alla soggettività, e nello stesso tempo l’esistenza di alcuni problemi che rimangono aperti.

Perché l’umanesimo del giovane Marx può ancora servirci

di Ferruccio Andolfi

La relazione ricostruisce brevemente il concetto di umanesimo quale emerge dai Manoscritti marxiani del 1844, la sua rielaborazione nell’Ideologia tedesca e la permanenza nelle opere più tardi del tema di un “positivo fondato su se stesso” che sta oltre la negazione della negazione.

Le caratteristiche della crisi di valori etici che contraddistingue l’attuale fase storica, in Italia e altrove, e l’imbarazzante perdita di senso elementare di umanità che si registra in una larga parte della popolazione, o del “popolo”, rendono opportuna la riabilitazione e il recupero di questo messaggio del giovane Marx, da cui peraltro egli stesso non seppe trarre tutte le conseguenze.

Marx e l’ipotesi rivoluzionaria

di Stefano Petrucciani

Riprendendo una riflessione sulle diverse modalità della critica sviluppata da Axel Honneth, si può provare a distinguere in Marx tre tipi di critica del capitalismo: critica funzionale, critica morale e critica etica. Che in Marx vi sia una critica funzionale, non c’è dubbio; molte sono le analisi circa le disfunzionalità del capitalismo, i suoi rischi di crisi e di collasso. C’è da chiedersi però se altri sistemi di produzione comportino rischi minori.

C’è in Marx una critica morale? La tesi è che c’è, anche se Marx non pensa che ci sia. Vi è una critica della dominazione che il capitalismo comporta che può essere intesa come una critica “normativa”. C’è una critica etica? Certamente sì, perché Marx ritiene che, dal punto di vista della vita buona e dello sviluppo umano, la società competitiva soffra di enormi limiti.

Gli errori di Marx

di Rino Genovese

Quando si parla degli errori di Marx, ci si riferisce per lo più alle sue previsioni sbagliate: alla teoria dell’impoverimento crescente (smentita dallo sviluppo dei ceti medi e dal relativo benessere che, fin dai primi del Novecento, coinvolse anche la classe operaia), oppure alla presunta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che avrebbe dovuto condurre il modo di produzione capitalistico verso la sua crisi risolutiva.

Ma questi “errori” fanno parte in effetti di un unico grande errore compiuto da Marx, quello di avere voluto conferire alla sua critica dell’economia politica lo statuto di una scienza “predittiva” sul modello delle scienze naturali. Al contrario la teoria di Marx s’inserisce, sia pure con un suo alto livello di complessità, in una tradizione che è quella del pensiero utopico. Si tratta allora di ritornare alla radice utopica del socialismo, anziché predicare un “socialismo scientifico”.

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Il marxismo spazzolato contropelo. La questione dei tempi multipli

di Vittorio Morfino

La teoria della temporalità marxista si basa su una concezione della storicità ereditata da Hegel e su una costellazione di concetti fondamentali sviluppati dalla grande tradizione illuministica: unicità, continuità, stadialità epocale. Non è difficile trovare questa problematica in testi come il Manifesto del Partito Comunista o la Prefazione del 1859, da cui si può tracciare una lunga serie di filiazioni che arrivano fino ai giorni nostri.

Tuttavia, tracciando i contorni della tradizione marxista, è possibile individuare una serie di concetti (che indico attraverso la categoria generale di “temporalità plurale”) che sembrerebbe segnalare l’inadeguatezza di una concezione lineare dello sviluppo storico. Nell’intervento saranno esaminati alcuni momenti salienti: dal Diciotto Brumaio alla Lettera a Vera Zasulič, dal Bloch di Eredità di questo tempo a quello di Sul progresso, fino all’Althusser della temporalità differenziale e oltre.

Note sulla formazione del valore

di Federica Giardini

È agli inizi del 2000 che la critica sociale comincia a registrare la perdita di efficacia della nozione di dominio – che individua la linea teorica che va da Hegel a Butler, passando per Simmel e Foucault – per riaprire all’uso degli strumenti marxiani (Fraser, Honneth, Redistribuzione o riconoscimento? 2003).

Se le nozioni marxiane di sfruttamento (E. Renault, Ressources, problèmes et actualité du concept d’exploitation, 2018) e di accumulazione (S. Mezzadra, La cosiddetta accumulazione originaria, 2008) sono state oggetto di riletture volte ad attualizzarne l’uso, va nondimeno registrato il recente ritorno di interesse – articolato, plurale e dunque meno definito – per il nesso marxiano tra sfruttamento e teoria del plusvalore, che si concentra sulle attuali dinamiche di attribuzione del valore.