Ciclo “Le forme della città”

A CURA DI: CRS TOSCANA, FONDAZIONE PER LA CRITICA SOCIALE, FONDAZIONE ROSSELLI, LEGAMBIENTE TOSCANA, CONVENTINO, CITTA SOSTENIBILE

 

La condizione emergenziale della pandemia ci ha spinto a riflettere sulle forme di vita all’interno delle nostre città, evidenziando e portando all’estremo alcuni fenomeni di lunga data. Si tratta di ridefinire, in rapporto a ciò che stiamo vivendo, cosa intendiamo per spazio sociale (un termine di H. Lefebvre). Da tempo gli spazi delle nostre città sono sottoposti a un processo di mercificazione, che ne altera le strutture e l’ambiente, sono letteralmente posti in vendita, in funzione del turismo di massa e della speculazione immobiliare; ne soffre un’altra concezione dello spazio, che invece di articolarlo in funzione della circolazione delle merci, lo vorrebbe finalizzato all’incontro e al riconoscimento delle soggettività degli abitanti. Da sempre l’architettura e la tessitura urbana sono espressione ed estensione spaziale dei rapporti di potere sociali, ma anche – in alternativa – del legame sociale tra gli uomini. Come si configurano oggi nel nostro spazio questi rapporti? Come possiamo modificarli in meglio? Tenendo conto che i modi della mobilità degli abitanti nel loro spazio incidono sulla loro condizione psicologica, e che la bellezza o meno degli edifici e delle strade che li circondano influisce, anche in modo inconscio, sul loro stato emotivo ed affettivo, sulle relazioni che hanno tra di loro, sul modo in cui la loro vita si snoda nel passato verso il futuro e dunque sulla qualità del tempo vissuto. Continua a leggere “Ciclo “Le forme della città””

Seminari su disordine della natura e capitalismo

Interpretare le sfide della nostra epoca per andare oltre il modello capitalistico e immaginare un futuro più giusto e sostenibile

Il ciclo di seminari intende proporre alcune categorie di pensiero che si ritengono utili per comprendere la situazione di emergenza che stiamo vivendo. Punto di partenza della nostra riflessione sarà il concetto di apocalisse culturale, elaborato da Ernesto De Martino. Un’apocalisse culturale si verifica quando, in seguito a un trauma storico profondo (un’epidemia, una guerra, un’aggressione coloniale, una crisi economica sistemica, una catastrofe ecologica) l’ordine simbolico con cui abitualmente riusciamo a orientarci nella realtà ambiente e nella vita quotidiana viene a essere sospeso, diventa irriconoscibile e ci lascia esposti al caos politico e psichico. Si verifica allora quella che sempre Ernesto De Martino ha definito una crisi della presenza.
Siamo, infatti, di fronte a un dissesto e a un disordine reattivo della natura, provocato dalla crisi sistemica del capitale e della sua concezione della tecnica. Qualcosa dunque di così radicale e profondo da minacciare il nostro ordine simbolico nelle sue stesse fondamenta. Come ebbe a dire Walter Benjamin in uno dei momenti più drammatici della storia del Novecento, «prima che la scintilla raggiunga la dinamite, la miccia accesa va tagliata».
I vari interventi del seminario, di cui proponiamo di seguito gli abstract intendono analizzare da diverse prospettive, a nostro avviso complementari, il dissesto radicale della forma di vita e la crisi della presenza che stiamo vivendo, integrando e sviluppando l’intuizione di De Martino e cercando di prefigurare anche come superare questa crisi per una nuova dimensione della relazione fra natura e cultura come base di un nuovo modello di sviluppo.

Scarica gli abstract

 

Lo spazio urbano tra socialità insorgente e barbarie

A proposito di Una città per tutti. Diritti, spazi, cittadinanza, a cura di Alessandra Criconia (Donzelli 2019)

Mario Pezzella

Nella situazione estrema che stiamo vivendo, il concetto di spazio sociale di Lefebvre mostra una tragica attualità. Lo spazio urbano è sociale perché è o dovrebbe essere fonte di interazioni umane, ma lo è anche in senso negativo e deformato. Diventa allora l’espressione dei rapporti e delle gerarchie di potere del capitale, che si estroflettono nella disposizione delle strade, nelle divisioni tra centro e periferia, nel sorgere di muri virtuali e materiali. Comunque sia, esso implica sempre un’articolazione architettonica e urbanistica di relazioni sociali, la loro espressione. E quando una società entra in una crisi radicale ciò rimane vero: ma il modo in cui le parole e le cose spartiscono lo spazio esprime la disarticolazione e il vuoto di un ordine simbolico in disfacimento.

Leggiamo questa descrizione di Berlino nel 1932, di Siegfried Kracauer: «[…] Ora la crisi si vede a ogni angolo di strada […]. Non sono solo i grandi appartamenti ad essere vuoti, anche i caffè sono semivuoti nei giorni feriali […], le strade sono piene di mendicanti, una foresta di mendicanti che si fatica ad attraversare si è introdotta nella città e ricopre l’asfalto. La sera, nelle strade un tempo animate fino a tarda notte, regna una calma strana che ci interroga. Le persone si disperdono rapidamente, restano a casa o sono finite chi sa dove. Si direbbe che esse si rintanano come animali per essere soli con la loro miseria». Kracauer descrive qui uno spazio devastato dalla crisi economica, mentre noi potremmo dire di essere oggi investiti da un flagello naturale, di cui neanche i potenti del mondo sono direttamente responsabili. Ma chi potrebbe negare che la virulenza del contagio non dipenda in certa misura dal folle atteggiamento che il capitale ha imposto verso la natura e dalla violenza irrazionale con cui ha costruito le sue immense megalopoli?

Continua a leggere “Lo spazio urbano tra socialità insorgente e barbarie”

Biosfera, l’ambiente che abitiamo

biosferadi Enzo Scandurra, Ilaria Agostini, Giovanni Attili

[Pubblichiamo questa sintesi del pensiero dei tre autori che mercoledì 4 marzo alle ore 18, nella sede romana della Fondazione, in via Vespucci 38, autopresenteranno il loro lavoro in forma seminariale per la serie “i nostri libri”].

Il “sistema clima” è un sistema molto complesso, caratterizzato da notevoli processi di retroazione (feedback). Il che significa che mano a mano che si sale di livello compaiono delle proprietà che non sono riconducibili alle proprietà delle singole parti. E significa ancora che tale sistema non è affrontabile con metodi riduzionisti. Di seguito si descrivono brevemente alcune questioni importanti per affrontare i “cambiamenti climatici”.

Cos’è ambiente

Prima di inoltrarci nei meccanismi che degradano il nostro ambiente, è necessario chiarire cosa significa questo termine. Convenzionalmente usiamo i termini di ambiente e natura come quasi sinonimi per indicare ciò che ci circonda e che non è ancora stato manomesso dall’attività dell’uomo o, quantomeno, che è stato preservato nelle sue condizioni quasi originarie.

Sappiamo che l’ambiente e la natura vanno conservati e difesi dalle attività antropiche perché costituiscono la risorsa più preziosa per la nostra sopravvivenza: sono l’habitat nel quale viviamo e dove si sviluppano le varie forme del vivente in tutta la loro diversità (piante, animali, esseri umani); ed è qui che si svolgono gli eventi naturali come piogge, venti, maree, e l’opera incessante di trasformazione naturale del nostro pianeta.

La storia tra l’uomo e la natura è una lunga storia di co-evoluzione dei sistemi viventi e dei loro ambienti e, al tempo stesso, di una incredibile simbiosi organica. Perché, se le attività dell’uomo trasformano la natura, anche quest’ultima non è mai uguale a se stessa. Cambia; e cambiando manda flussi d’informazione continui agli esseri viventi che a loro volta tendono a modificarla. Le due entità, uomo e natura, sono state per lungo tempo in continua evoluzione e di apprendimento reciproco. Vale la considerazione di Edgar Morin: l’uomo è 100% natura e 100% cultura, un paradosso matematico che esprime bene ciò che siamo e da dove veniamo.

Continua a leggere “Biosfera, l’ambiente che abitiamo”

La lotta di classe non è finita. Per un discorso sull’ecologia politica

Ecologia

di Enzo Scandurra

In origine il termine “ecologia” (Haeckel, 1873) stava a indicare la relazione generale e al tempo stesso intima che lega il vivente al mondo del non vivente. Il termine “ecosistema” (coniato da Tansley nel 1935) si comprende nell’ambito dalla teoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy, e può essere definito come un sistema (ecologico) composto di elementi biotici (tutti gli esseri viventi) e abiotici (rocce, oceani, catene montuose, fiumi) tra loro fortemente interconnessi tale che il tutto è maggiore della somma delle parti (a causa delle proprietà emergenti), attraversato da flussi di energia solare e finalizzato verso uno scopo (l’equilibrio della biosfera). Edgar Morin ha sostenuto che l’ecologia, all’origine, era una sorta di metadisciplina dal contenuto fortemente “trasgressivo” perché tendeva a mettere in discussione i saperi esistenti ingessati in discipline specialistiche e separate tra loro da steccati rigidi.

Con il tempo questa materia si è trasformata in disciplina, perdendo il carattere trasgressivo iniziale e costretta a confrontarsi con le altre discipline esistenti. Oggi è una delle tante materie di insegnamento universitario ed è entrata perfino nelle aule scolastiche al pari di altre discipline. Essa è stata poi riproposta con l’aggiunta di qualificativi, come deep ecology (Aerne Naesse, 1973), ecologia integrale (papa Francesco più di recente), per riacquistare e anzi estendere il proprio contenuto originario ad altre sfere non biologiche e per cercare di spiegare i conflitti in atto sul pianeta.

Le sempre più violente manifestazioni climatiche hanno messo in minoranza i negazionisti del riscaldamento del pianeta (ovvero della biosfera) e generato in tutto il mondo movimenti di giovani attorno al Friday for Future ed Extintion Rebellion. Il cambiamento climatico e l’estinzione rapida di specie animali e vegetali non sono ormai limitati a parti del pianeta ma hanno assunto un carattere planetario. Però l’indifferenza a tutto ciò non è solo dei negazionisti, dei politici cinici o indaffarati in ben altre cose, o degli scienziati pagati dai grandi gruppi che controllano le produzioni. Essa è anche il prodotto di una cultura diffusa basata sul falso presupposto che l’uomo potrà sempre superare ogni problema. La questione oggi, citando Roqueplo, non è più tanto quella di “dominare la natura” (il riduzionismo di Bacone e di molti altri scienziati del Seicento e Settecento), quanto quella di sopravvivere alle conseguenze di questo “dominio”, cioè “dominare” il nostro stesso “dominio”.

Tuttavia fenomeni come il cambiamento climatico e l’estinzione di massa non riescono a incidere sul comportamento dei governi planetari né quello dei poteri dominanti (agenzie transnazionali, ecc.) se non nel senso di tentare timidamente di orientare i prodotti e i consumi verso obiettivi di inefficace sostenibilità. Se anche oggi stesso (il che è del tutto irrealistico) le multinazionali che controllano la produzione, i grandi istituti finanziari e bancari, i gruppi di potere, i governi e i decisori politici, arrivassero a mutare rotta per tentare di ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici e il degrado del pianeta, ne seguirebbe una crisi economica di enormi dimensioni che coinvolgerebbe l’intero pianeta. E ci vorrebbero decine di anni perché un’umanità ridimensionata e più allineata con la natura, riuscisse poi a trovare nuovi equilibri economici, sociali, politici.

Questo cambiamento (ammesso che si voglia veramente fare prima che l’apocalisse ambientale non finisca con il renderlo necessario) non può essere messo in moto da quegli stessi gruppi che per avidità e interessi ci hanno portato su questa strada. Lo stesso concetto di sviluppo sostenibile coniato nel 1987 dalla Commissione Brundtland (Our Common Future), è diventato uno slogan vuoto di senso: perfino le merendine per i bambini vengono definite sostenibili.

A ben vedere il conflitto scatenato contro la natura oggi può essere letto come un conflitto globale che sottende sempre più ogni conflitto economico, sociale, politico che attraversa il pianeta. Quali sono le ragioni che spingono i migranti dell’Africa (ipocritamente suddivisi in migranti economici e profughi di guerra) a rischiare la vita per approdare ai lidi dell’Occidente se non in primis la crisi climatica che desertifica le loro terre rendendole aride come un deserto? E perché la crisi economica innescata in tutto l’Occidente, trasformata in austerity, non accenna a essere superata come avveniva in passato ricorrendo a ricette classiche dell’economia? E quali sono le cause delle tante guerre sparse sul pianeta se non l’accaparramento delle risorse: acqua e petrolio. E quali le cause più vistose della crisi delle nostre grandi città se non quelle dei rifiuti, dell’inquinamento prodotti in parte dall’accoppiata petrolio/macchina, dal traffico caotico, ecc. E come spiegare il conflitto sempre più aspro tra produzione industriale e ambiente (si veda il caso di Taranto)?

Queste crisi non potranno mai essere superate se non si rivedono i modelli di produzione e consumo che hanno portato a tale disastro, il che cosa e il come produrre e consumare, e se non ci si allinea con la “produzione” della natura, rispettandone i cicli e le leggi.

I nuovi conflitti che sconvolgono tutte le categorie novecentesche note (lavoro, classe, produzione) devono essere letti alla luce della crisi ecologica che sconvolge il pianeta e che imporrà una revisione dell’economia. In tal senso dovremmo parlare di ecologia politica sia per indicare le necessarie misure da intraprendere a tempi medio-brevi per scongiurare la catastrofe climatica, sia per delineare nuovi orizzonti della politica non più ancella sottomessa all’economia. Presto o tardi gli indicatori economici con i quali misuriamo il benessere di una nazione (pil, debito sovrano, crescita) saranno delle scatole vuote, inefficaci per misurare la necessaria transizione alla riconversione dell’economia in direzione ecologica.

Roma-Gra

La città spezzata

Roma-Gradi Walter Tocci

[Il 7 febbraio scorso, nella Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”, è stato presentato il volume di Alessandro Lanzetta, Roma informale. La città mediterranea del GRA (Manifestolibri, 2018). Sono intervenuti Enzo Scandurra, Carlo Cellamare, Massimo Ilardi e Walter Tocci. Riproponiamo l’intervento di quest’ultimo].

Questo piccolo libro pone al centro la più grande questione di Roma, cruciale e di enorme complessità: che cosa ne faremo della città del Grande Raccordo Anulare? Appaiono ormai fuori gioco tutte le tecniche, le ideologie, l’intero immaginario novecentesco attraverso cui in passato abbiamo pensato la questione. Si tratta di una vera e propria sfida, e Alessandro Lanzetta, con uno stile aforistico, allusivamente nietzschiano, cerca di mettere a punto gli strumenti che potrebbero servirci in futuro.

Anzitutto nel suo libro c’è una messa fuori causa del mainstream urbanistico, mediante una critica ironica, sprezzante – e sarebbe questo un lavoro da fare oggi in modo militante. Abbiamo infatti una frattura nel pensiero su Roma. Tutta la classe dirigente (di cui io stesso porto una parte di responsabilità) pensa ancora con le categorie del “modello Roma”. È un detrito che rimane, un maistream vecchio e superato. Le cose interessanti provengono invece da giovani studiosi, policy makers, avanguardie culturali, che restano però del tutto isolate. Continua a leggere “La città spezzata”

Il modello Riace

Riacedi Enzo Scandurra

“[…] perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere. E anche le piante. Le credete mediterranee. Ebbene, ad eccezione dell’ulivo, della vite e del grano – autoctoni di precocissimo insediamento – sono quasi tutte nate lontane dal mare. Se Erodoto, il padre della storia, vissuto nel V secolo a.C., tornasse e si mescolasse ai turisti di oggi, andrebbe incontro a una sorpresa dopo l’altra. ‘Lo immagino’, ha scritto Lucien Febvre, ‘rifare oggi il suo periplo nel Mediterraneo orientale. Quanti motivi di stupore! Quei frutti d’oro tra le foglie verde scuro di certi arbusti – arance, mandarini, limoni – non ricorda di averli mai visti nella sua vita. Sfido! Vengono dall’Estremo Oriente, sono stati introdotti dagli arabi. Quelle piante bizzarre dalla sagoma insolita, pungenti dallo stelo fiorito, dai nomi astrusi – agavi, aloè, fichi d’India –, anche queste in vita sua non le ha mai viste. Sfido! Vengono dall’America. Quei grandi alberi dal pallido fogliame che pure portano un nome greco, eucalipto: giammai gli è capitato di vederne di simili. Sfido! Vengono dall’Australia. E i cipressi a loro volta sono persiani. Questo per quanto concerne lo scenario. Ma quante sorprese ancora al momento del pasto: il pomodoro, peruviano; la melanzana, indiana; il peperoncino, originario della Guayana; il mais, messicano; il riso dono degli arabi; per non parlare del fagiolo, della patata, del pesco, montanaro cinese divenuto iraniano, o del tabacco’ ”1.

Continua a leggere “Il modello Riace”