Diritti, welfare e socialismo al tempo del coronavirus

di Aldo Garzia

Resta rischiosa la totale riapertura delle attività economiche e della mobilità. Bisogna provare a convivere con il Covid 19 perché l’economia e l’Italia non ce la fanno più, è stata l’obiezione a chi dubitava. Molto di quello che accadrà nei prossimi mesi sarà dunque affidato ai comportamenti individuali e collettivi, oltre che alle normative che si adotteranno. Sapremo autodisciplinarci seguendo le norme semplici di prudenza della convivenza con il Coronavirus?

L’alternativa sicurezza/libertà è particolarmente bruciante. Sapendo che in questa fase “più libertà” vuol dire “meno sicurezza” e “meno salute”. Non si scappa. Dovremo abituarci a convivere perciò con il Covid 19 e con questa contraddizione che impone inevitabilmente un ripensamento della coppia diritti/libertà. C’è tuttavia da fare i conti con la diffusa insofferenza verso le norme che consigliano il divieto di assembramento, per non parlare di quelle dei mesi scorsi: limitazioni alla libertà di movimento, distanziamento sociale, quarantena obbligatoria, lockdown. Si trattava di misure eccezionali motivate dal Covid 19 e dalla ricerca di un difficile equilibrio tra diritti individuali e diritto alla salute. Forse sarebbe meglio parlare però di “diritto alla vita” tout court. L’insofferenza verso la compressione delle libertà si spiega con la diffusa introiezione della categoria di “libertà” intesa quasi esclusivamente come problema individuale al di fuori del contesto in cui si esercita (questa volta eccezionale). È il singolo che fa problema, non la collettività, in questa nostra società dell’individuo consumatore.

Anche nel dibattito italiano ha fatto presa una concezione anglosassone delle libertà come tema che riguarda essenzialmente i singoli. Ci siamo “americanizzati” teoricamente.

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Battisti, processo da rifare

Cesare Battisti

di Rino Genovese

Quando l’eco mediatica e propagandistica intorno alla cattura di Cesare Battisti e al suo rientro in Italia si sarà spenta, si dovrà ritornare sulle ragioni che hanno spinto alcuni di noi a difenderlo in tutti questi lunghi anni. Il militante dei Pac (“Proletari armati per il comunismo”) avrà di sicuro la responsabilità politica e morale degli atti terroristici compiuti, degli omicidi, delle rapine e quant’altro, ma non si può proprio dire che abbia ricevuto un trattamento giudiziario equo. Condannato all’ergastolo in contumacia, cioè in un processo svoltosi in sua assenza – che, in alcuni ordinamenti, tra cui quello francese, dev’essere obbligatoriamente ripetuto quando poi si dia la presenza dell’imputato –, Battisti è stato giudicato in base a una legislazione di emergenza che ha consentito ai collaboratori di giustizia – i cosiddetti pentiti – di ottenere notevoli benefici e sconti di pena. È evidente che, se uno dei co-imputati è un fuggiasco evaso dal carcere, come nel caso di Battisti, si tenderà a scaricare su di lui gran parte delle responsabilità penali. E i riscontri, che i magistrati sono comunque tenuti a fare, sono pressoché impossibili in assenza delle dichiarazioni dell’imputato. Battisti è stato condannato per un insieme di reati gravissimi senza che vi sia stato alcun confronto con chi lo accusava. Ciò anche senza parlare di episodi di tortura, che in questa vicenda non sono documentati, mentre lo sono in parecchi altri casi, confermati da funzionari di polizia come il mio quasi omonimo Rino Genova e il tenebroso Nicola Ciocia, soprannominato professor De Tormentis dai suoi stessi colleghi. Continua a leggere “Battisti, processo da rifare”