Interventi

Natura plurale e teoria sociale

In occasione dell’uscita di Axel Honneth e Hans Joas, Agire sociale e natura umana, traduzione italiana a cura di Sofia Alexandratos, nella collana della Fondazione per la critica sociale (edita da Rosenberg & Sellier), abbiamo organizzato una serie di seminari dal titolo Natura plurale e teoria sociale, che si terranno a cadenza mensile online, su google meet, dalle 16:30 alle 18:30.
Sono passati più di quarant’anni dalla pubblicazione originaria di Agire sociale e natura umana, un’opera d’avanguardia di antropologia filosofica che indaga l’essere umano alla luce di una natura plurale e processuale, allo scopo di operare una critica dei contesti sociali. La serie seminariale vuole essere un’occasione per discutere degli sviluppi contemporanei dei paradigmi di natura e natura umana, alla luce della crescente interdisciplinarità, transdisciplinarità e intersezionalità della filosofia contemporanea e del bisogno di aprire nuove prospettive di critica sociale. Senza limitare la discussione agli/alle autori/autrici e ai temi dell’antropologia filosofica, guardando anche ai contributi del naturalismo critico, della sociologia, dell’antropologia e della psicologia, la serie seminariale intende mettere a confronto approcci, teorie e autori/autrici diversificati.

26 maggio 2023: Matteo Santarelli (Unibo) – Un’antropologia degli interessi e dei valori? Alcune ipotesi preliminari

21 giugno 2023: reading group – Eduardo Kohn, “Come pensano le foreste”

14 luglio 2023: reading group – Anna Tsing, “Il fungo alla fine del mondo”

Settembre 2023: Massimo De Carolis (Unisa) – Natura umana, vitalità e istituzioni

Ottobre 2023: Roberta Dreon (Unive) – Sensibilità, abiti ed esperienza parlata: aspetti di un’antropologia pragmatista

Novembre 2023: Paolo Costa (Fondazione Bruno Kessler) – Ha senso studiare la natura umana? Un bilancio di trent’anni di studio

Dicembre 2023: Roberto Brigati (Unibo) – Disincanto, mana, agency delle cose

Gennaio 2024: Rino Genovese (Fondazione per la critica sociale) – Cosa c’è che non va nell’antropologia filosofica?

Febbraio 2024: Andrea Borsari (Unibo) – Natura e natura umana tra antropologia filosofica e filosofia sociale

Aprile 2024: Giorgio Fazio (Uniroma1) – Teoria critica e antropologia filosofica in Axel Honneth. Un confronto interrotto?

Giugno 2024: Roberto Finelli (Uniroma3) – Limiti di un’antropologia inter-soggettivistica

Per info, link e testi: francescasofia.alexandratos@studenti.unipr.it

C’è ancora spazio, oggi, per un “discorso pubblico” sul socialismo?

di Antonio Floridia

[Intervento al seminario online sul socialismo, a cura del Crs Toscana e della Fondazione per la critica sociale, tenuto il 21 marzo 2022].

Una risposta alla domanda posta nel titolo di questo testo, presuppone due passaggi preliminari: in primo luogo, che senso ha, oggi, in generale, una riflessione sull’“attualità del socialismo”? E, in secondo luogo, c’è una specificità italiana, qualche elemento che permetta di articolare e sviluppare questa riflessione rispetto alla realtà del nostro paese? Alla prima domanda – anticipo subito le mie conclusioni – rispondo decisamente di sì: non solo è possibile, ma è necessaria, nel mondo di oggi, una ripresa dell’idea stessa di socialismo; ma, nello stesso tempo, ritengo che questa ripresa debba e possa essere caratterizzata da alcuni cruciali elementi di innovazione, se non vuole apparire una mera operazione di recupero del passato, e di fatto rivelarsi inefficace. Alla seconda questione, la specificità italiana, si può rispondere ponendo al centro dell’attenzione una ricerca sulle ragioni profonde della peculiare involuzione – fino a ciò che sembra oggi una sostanziale eclissi – della tradizione socialista e comunista del nostro paese, che pure nel corso del Novecento è stata una delle più significative nel panorama europeo e internazionale. Continua a leggere “C’è ancora spazio, oggi, per un “discorso pubblico” sul socialismo?”

Contro Agamben e Cacciari a proposito di “green pass”

di Roberto Finelli e Tania Toffanin

Abbiamo pensato di scrivere insieme qualche riflessione su quanto Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno pubblicato il 26 luglio scorso sul sito dell’Istituto italiano per gli studi filosofici (A proposito del decreto sul “green pass”). Ci sembra infatti utile fare chiarezza sullo spirito del tempo, di cui gli autori citati appaiono essere solo l’epifenomeno più vistoso e culturalmente accreditato. Vogliamo provare brevemente a comprendere cosa ci sia dietro una tale rivendicazione di libertà individuale, sottratta a ogni condizionamento e mediazione con la libertà collettiva, in questa richiesta verosimilmente dimentica della definizione data, ormai molto tempo fa, da Franco Fortini, secondo cui “la mia libertà inizia, non dove finisce, ma dove inizia la libertà dell’altro”.

Il dibattito che l’obbligatorietà della certificazione verde ha aperto si situa, peraltro, all’interno di uno scenario internazionale che impone alcune ulteriori riflessioni. Pensiamo che tale dibattito sia fondamentalmente centrato sui diritti individuali, all’interno di un contesto nel quale le libertà individuali sono pienamente garantite. Per contro, quanto sta succedendo in Afghanistan impone di riflettere, a partire proprio dalle libertà individuali, in termini non più strettamente eurocentrici. Sforzo questo che pensiamo sia necessario per uscire dal provincialismo del dibattito italiano ed europeo in tema di diritti fondamentali e libertà personali. Continua a leggere “Contro Agamben e Cacciari a proposito di “green pass””

Sentenze sul disastro

di Antonio Tricomi

Vale forse la pena partire dal fondo. È infatti nell’ultimo saggio incluso in Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura (Milano, Rizzoli, 2021) che Siti elenca “le caratteristiche”, per lui irrinunciabili, di un testo in grado di “sostenere cause etiche e/o politiche senza avvilire le potenzialità conoscitive della letteratura” (p. 254).

Intanto, si tratterebbe, per quel libro e per il suo autore, di conservare un’“assoluta onestà intellettuale ed emotiva”, dimostrando, sia l’uno sia l’altro, la propria “naturale incapacità di aderire agli stereotipi”. In secondo luogo, un’opera simile sarebbe chiamata a non tacere “il discorso dell’avversario”, stratificandosi “come una struttura dialettica perennemente aperta al dubbio”. Infine, gli scrittori che ambissero, come certi loro modelli, a battere la strada dell’engagement, dovrebbero regolarsi al pari dei maestri e “ammettere una subordinazione e una passività dell’impegno rispetto al farsi concavi per accogliere una Parola che non conosciamo ancora e non ci appartiene” (pp. 255, 257, 259).

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Contro Walter Siti, per l’impegno

di Rino Genovese

In un incontro online organizzato di recente dalla nostra amica Maria Borio, Dacia Maraini esprimeva la seguente opinione: non può esservi romanzo “impegnato” perché la letteratura è qualcosa che va “più in profondità” rispetto a un giudizio su questo o quel tema politicamente all’ordine del giorno: presa di posizione che, esulando dal campo letterario, il singolo scrittore affermato può però assumere pubblicamente come manifestazione di cittadinanza in virtù del prestigio acquisito con le proprie opere. Si può essere impegnati, insomma, in base alla fama raggiunta. Il che fu sostenuto una volta anche da Sartre – quando uno firma un appello o un manifesto, lo fa perché ha un nome che gli consente di avere una certa eco –, pur non esaurendo affatto la questione di un’arte e di una letteratura impegnate, nemmeno secondo Sartre, essendo in fondo un caso che si sia avuto o no quel successo indispensabile per essere ascoltati, cioè per stare nel circuito dei mass media. La questione dell’esercitare o no un’influenza è altra cosa da quella di una poetica dell’engagement, la cui efficacia, come accade per tutte le poetiche, andrebbe valutata piuttosto all’interno dell’opera.

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Il Dioniso di Hölderlin, ovvero il dio del possibile

di Tomaso Cavallo

Porgo i miei auguri a Mario con grandissimo piacere e con altrettanto affetto – anche se devo ringraziare subito Rino Genovese per il fatto stesso di poterteli fare, caro Mario, perché come tu sai bene, conoscendo da vicino e da sempre la mia pedemontana celtica inurbanità, nei tanti anni (52 per l’esattezza!) a cui risale la nostra conoscenza e amicizia, per quanto frughi nella memoria, ahimè, è sicuramente questa la prima volta che ti auguro un felice compleanno, avendo sempre, con tranquilla incoscienza, ignorato la data del tuo genetliaco, come colpevolmente ignoro la data di compleanno di tutti i miei amici, riuscendo molto spesso a dimenticare addirittura quella dei miei famigliari più prossimi. Continua a leggere “Il Dioniso di Hölderlin, ovvero il dio del possibile”

Appunti su “Il cane di Goya”

di Luca Lenzini

Caro Mario, un po’ sono titubante e imbarazzato a prendere la parola in mezzo a tanti amici che, con molta più competenza di quanto ne abbia io, sono riuniti oggi per il tuo compleanno e per parlare del tuo lavoro. Il mio intervento ha per tema la raccolta di poesie intitolata Il cane di Goya1, che mi è cara per più motivi: perché è tua, perché c’è di mezzo Goya; perché è un libro importante e anche perché la mia copia reca nella dedica una citazione fortiniana, da Composita solvantur, versi che in una lezione per un mio corso sapesti commentare, qualche anno fa, in modo memorabile. (I miei sono appunti corsivi, ma se un giorno avranno la forma più compiuta di una recensione forse porteranno un titolo come Il cane di Goya ovvero Mario nella Quinta del Sordo.)

Ora, se penso alla tua poesia, in generale, e cerco un termine adatto a renderne conto, la prima parola che mi viene in mente è “spessore”. Mi rendo conto che non è granché, anzi è un’approssimazione piuttosto goffa a quanto vorrei dire; ma almeno può servire a introdurre una caratteristica della tua scrittura poetica che colpisce a prima vista: ovvero la stratificazione e la pluralità dei livelli discorsivi che vi si intrecciano, che stringono l’insieme di una raccolta come Il cane di Goya, appunto, e conferiscono coerenza e durata alla struttura complessiva. Continua a leggere “Appunti su “Il cane di Goya””

Due o tre cose sulla “Critica della ragion populista” di Mario Pezzella

di Alessandro Simoncini

Anche se le forze populiste nel mondo hanno leggermente frenato una corsa che sembrava inarrestabile, le cause profonde del populismo restano intatte nell’“intreccio di tre crisi differenti”: una crisi economica che ha colpito duramente, e continua a colpire, ceto medio e classi subalterne; una crisi politica che ha generato, e genera, sfiducia nei confronti del sistema dei partiti; una crisi “culturale” che ha prodotto, e continuerà a produrre, una crescente percezione di insicurezza nei confronti di profughi e migranti, con le correlate richieste di protezione identitaria. A completare il quadro c’è poi il rafforzamento di un ambiente mediatico, come quello dei social network, molto favorevole alla conquista di visibilità e egemonia da parte dei populisti (D. Palano, Apocalisse democratica, in “Rivista internazionale di Politica, Filosofia e Diritto”, 2, 2020).

Per questo è interessante e utile tornare a leggere due brevi densi testi in cui, nel 2016, Mario Pezzella ha schizzato i lineamenti fondamentali di una Critica della ragion populista (Critica della ragion populista, in “Il Ponte”, 8-9 2016 e in S. Cingari, A. Simoncini, Lessico postdemocratico, Perugia, PUP, 20161). La Critica di Pezzella va riletta per quello che è: un frammento di “ontologia politica dell’attualità” che si insedia con una prospettiva di parte dentro un campo strategico ben determinato, quello della lotta tra teoria populista e teoria socialista. Pezzella pensa e scrive la sua Critica dentro il cosiddetto “momento populista” e contro La ragione populista di Ernesto Laclau (Roma-Bari, Laterza, 2008): il testo che – come sappiamo – ha funzionato da “metafisica influente” per la sinistra populista europea e non solo. Con Laclau, contro l’idea stessa di una sinistra populista, Pezzella ingaggia un serrato corpo a corpo nel corso del quale compie tre mosse teoriche (tra le altre) particolarmente interessanti. Continua a leggere “Due o tre cose sulla “Critica della ragion populista” di Mario Pezzella”

Energie sociali e paure irrazionali nella pandemia

pandemiadi Giorgio Stamboulis

La seconda ondata del covid-19 ci pone davanti a tutte le contraddizioni e ai problemi politici, sociali ed economici che la volontà di rassicurare la popolazione, e la necessità di affrontare l’emergenza, avevano nascosto sotto il tappeto. I media e la politica hanno concentrato l’attenzione quasi esclusivamente sulla contrazione dei consumi e soprattutto dei profitti. Il dilemma e il tentativo di conciliazione proposti sono stati tra il diritto alla salute e quello ad arricchirsi, mentre altre priorità sono state messe tra parentesi, come il diritto al lavoro, all’istruzione, alla socialità, alla libertà di movimento ed espressione.

Su giornali, televisioni e social, il dibattito pubblico è stato ampiamente ricondotto alla dimensione morale della responsabilità individuale, con slogan, più che con argomentazioni, che di volta in volta hanno spostato il soggetto della condanna, riproducendo però sempre la stessa logica: «il runner non deve correre perché diffonde il virus e si distrae dalla lotta alla malattia»; «i giovani si incontrano e vanno a ballare, ma così diffondono il virus»; «le scuole potrebbero fare la didattica a distanza»; «ristoratori e baristi vogliono tenere aperto a tutti i costi per persone che pensano solo agli aperitivi e alle cene, e se ne fregano delle morti»; oppure «pensano al Natale mentre siamo con gli ospedali al collasso».

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Catastrofe sfiorata, appunti per il dopo Trump

Donald Trumpdi Aldo Garzia

I simboli, in politica come nella vita, contano molto. L’occupazione per alcune ore del Campidoglio di Washington peserà come un macigno non solo sulla storia degli Stati Uniti. Quello che non era ritenuto possibile è invece avvenuto. Il trumpismo ha varcato il Rubicone, mettendo sotto ulteriore stress il sistema politico ed economico non solo statunitense. I media di oltre Atlantico hanno parlato esplicitamente di “tentato colpo di Stato”. Il che la dice lunga su cosa abbiamo rischiato con la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca.

Tornano in mente certi commenti a sinistra all’epoca della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. Si pensava che il ritorno dei repubblicani al comando avrebbe fatto dell’isolazionismo un valore evitando guerre e interventismi, che né Bill Clinton né Barack Obama seppero evitare. Non si era compresa la portata devastante del “fenomeno Trump” che aveva conquistato la candidatura repubblicana fuori da ogni previsione e norma. Lo avremmo imparato via via. Meglio avere come avversari dei conservatori che degli eversivi, dovremmo aver appreso (eppure c’è chi ha storto ancora una volta la bocca per l’elezione del poco alternativo Joe Biden sostenendo che democratici e repubblicani pari sono).

Le destre non sono sempre uguali a se stesse. Trump non è stato eguale a Ronald Reagan: lui ha unito il liberismo spinto alla rottura di ogni regola interna e internazionale. Non è stato solo una variante del populismo che si aggira nel mondo. È stato un fenomeno che si è inserito nella crisi economica e sociale della società a stelle e strisce, in quella del multilateralismo internazionale proponendo soluzioni autoritarie. In più, si è fondato sul rinascente razzismo (muro contro gli immigrati e i “diversi”) e il via libera al popolo delle armi che cerca soluzioni di vita individuali. Riascoltare i discorsi di Trump nella recente campagna elettorale fa un effetto agghiacciante. Prefiguravano Stati Uniti e il mondo a sua immagine e somiglianza. Una sorta di “fascismo moderno”, si potrebbe dire, se il termine non fosse abusato e utilizzato a volte a sproposito (lo uso togliattianamente, alludendo a un regime fortemente autoritario ma con vasto consenso di massa). Non c’è infatti solo un forte tasso di populismo in Trump: c’è il disprezzo di ogni principio regolatore della vitta collettiva. È questa la sua cifra distintiva. Continua a leggere “Catastrofe sfiorata, appunti per il dopo Trump”