Contro Agamben e Cacciari a proposito di “green pass”

di Roberto Finelli e Tania Toffanin

Abbiamo pensato di scrivere insieme qualche riflessione su quanto Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno pubblicato il 26 luglio scorso sul sito dell’Istituto italiano per gli studi filosofici (A proposito del decreto sul “green pass”). Ci sembra infatti utile fare chiarezza sullo spirito del tempo, di cui gli autori citati appaiono essere solo l’epifenomeno più vistoso e culturalmente accreditato. Vogliamo provare brevemente a comprendere cosa ci sia dietro una tale rivendicazione di libertà individuale, sottratta a ogni condizionamento e mediazione con la libertà collettiva, in questa richiesta verosimilmente dimentica della definizione data, ormai molto tempo fa, da Franco Fortini, secondo cui “la mia libertà inizia, non dove finisce, ma dove inizia la libertà dell’altro”.

Il dibattito che l’obbligatorietà della certificazione verde ha aperto si situa, peraltro, all’interno di uno scenario internazionale che impone alcune ulteriori riflessioni. Pensiamo che tale dibattito sia fondamentalmente centrato sui diritti individuali, all’interno di un contesto nel quale le libertà individuali sono pienamente garantite. Per contro, quanto sta succedendo in Afghanistan impone di riflettere, a partire proprio dalle libertà individuali, in termini non più strettamente eurocentrici. Sforzo questo che pensiamo sia necessario per uscire dal provincialismo del dibattito italiano ed europeo in tema di diritti fondamentali e libertà personali. Continua a leggere “Contro Agamben e Cacciari a proposito di “green pass””

Salto di qualità in America

manifestanti pro trumpdi Rino Genovese

I populismi mettono sotto stress le istituzioni democratiche, è cosa nota, ma il salto di qualità che si è prodotto nella giornata del 6 gennaio negli Stati Uniti è qualcosa che richiede un di più di riflessione. C’è un punto oltre il quale l’effervescenza anche violenta indotta nei sistemi politici dalla combinazione tra l’idoleggiamento di un capo (nel caso specifico Trump) e il costante sconvolgimento dei principi su cui si regge una democrazia – alternanza destra/sinistra in primo luogo, e rispetto dei risultati elettorali – diventa sovversione vera e propria. Il fenomeno Trump, lo si può dire ora con certezza, è stato questo: il passaggio, nella maggiore democrazia del mondo, da una vittoria elettorale risicata quattro anni fa (non si dimentichi che la pur debole candidata democratica aveva comunque preso più voti in cifra assoluta) a un movimento reazionario di massa entro cui riemerge con estrema evidenza il segno sempiterno del fascismo. Forte di un’ideologia, per quanto abborracciata, del tutto esplicita: basata sull’idea di un complotto delle élite mondiali progressiste e “pedofile” contro il presidente che avrebbe incarnato la rinascita del paese dopo gli anni di Obama; sul rinnovato senso di supremazia razziale collegabile al periodo buio, mai del tutto archiviato, del segregazionismo; sulla difesa protezionistica dell’economia americana da quella del resto del mondo, in primis da quella cinese; e infine sul culto delle armi, radicato da sempre nel paese dei cowboy. Questa miscela di elementi ideologici, e perfino fantastici, ha trovato il suo punto di caduta nella favola, raccontata da Trump già prima che le elezioni avessero luogo, dei brogli elettorali, di una vittoria fraudolenta da parte di Biden, complice una pandemia strumentalizzata o scatenata da quelle stesse élite mondiali che cospirano contro la grandezza degli Stati Uniti. Continua a leggere “Salto di qualità in America”

Perché in Italia si muore più che altrove?

di Rino Genovese

Ci s’interroga sulle ragioni della terribile alta mortalità da coronavirus in Italia, un record in Europa: siamo arrivati a 64mila mentre scrivo, e non è ancora finita. Le risposte possibili sono molte. Gli esperti (io naturalmente non lo sono) non hanno saputo ancora trovare una causa per questa ecatombe. Dubito che la troveranno, anche perché le cause – lo abbiamo appreso da tempo – per lo più sono molteplici, e per la spiegazione di un qualsiasi fenomeno si deve sempre parlare di concause. Sembra che tirare in ballo l’età mediamente anziana della popolazione italiana non sia una risposta o, almeno, sia una risposta insufficiente. Dopotutto non è che la Germania, dove di coronavirus si muore assai meno, sia un paese di giovinetti. Una spiegazione del genere potrebbe funzionare per quei paesi in cui l’età media si aggira intorno ai trent’anni (come l’Algeria, per fare un esempio); ma, restando in Europa, pare che il Regno Unito, dove l’età media è più bassa di qualche anno rispetto a quella italiana, si muoia all’incirca quanto in Italia. Là, però, all’epidemia è stata data quasi briglia sciolta con restrizioni, almeno nei primi tempi, poco severe e molto “all’americana”, diciamo così, nell’ideale corrispondenza d’intenti tra Boris Johnson e Trump. Continua a leggere “Perché in Italia si muore più che altrove?”