C’è ancora spazio, oggi, per un “discorso pubblico” sul socialismo?

di Antonio Floridia

[Intervento al seminario online sul socialismo, a cura del Crs Toscana e della Fondazione per la critica sociale, tenuto il 21 marzo 2022].

Una risposta alla domanda posta nel titolo di questo testo, presuppone due passaggi preliminari: in primo luogo, che senso ha, oggi, in generale, una riflessione sull’“attualità del socialismo”? E, in secondo luogo, c’è una specificità italiana, qualche elemento che permetta di articolare e sviluppare questa riflessione rispetto alla realtà del nostro paese? Alla prima domanda – anticipo subito le mie conclusioni – rispondo decisamente di sì: non solo è possibile, ma è necessaria, nel mondo di oggi, una ripresa dell’idea stessa di socialismo; ma, nello stesso tempo, ritengo che questa ripresa debba e possa essere caratterizzata da alcuni cruciali elementi di innovazione, se non vuole apparire una mera operazione di recupero del passato, e di fatto rivelarsi inefficace. Alla seconda questione, la specificità italiana, si può rispondere ponendo al centro dell’attenzione una ricerca sulle ragioni profonde della peculiare involuzione – fino a ciò che sembra oggi una sostanziale eclissi – della tradizione socialista e comunista del nostro paese, che pure nel corso del Novecento è stata una delle più significative nel panorama europeo e internazionale. Continua a leggere “C’è ancora spazio, oggi, per un “discorso pubblico” sul socialismo?”

La democrazia interna ai partiti: una chimera o una frontiera innovativa da esplorare?

Partiti e democraziadi Antonio Floridia

1. Negli ultimi anni la riflessione sui partiti, da sempre tema cruciale della scienza politica, ha visto una ripresa notevole e si sono moltiplicate, in particolare, le opere che hanno cercato di rispondere ad un quesito, variamente formulato, sulla corretta definizione da dare ai fenomeni che investono i partiti nelle democrazie contemporanee: “fine”, “crisi” e “declino”, o “trasformazione” e “adattamento”?[1]

La risposta più convincente ci sembra quella che distingue tra l’indebolirsi dei partiti nella loro capacità di esercitare alcune classiche funzioni di rappresentanza sociale e politica, e la conseguente crisi di legittimazione che ne deriva, da un lato; e dall’altro, la compenetrazione tra partiti e stato, con una crescente dipendenza dei partiti dalle risorse finanziarie e organizzative che da tale simbiosi si possono ottenere. Insomma, mentre le funzioni di “integrazione politica” si stanno erodendo, le funzioni “istituzionali” dei partiti risultano ancora più esaltate. Il partito in the public office appare ipertrofico, quello on the ground sempre più gracile. D’altra parte, sono state smentite dai fatti quelle tesi che preconizzavano, tout court, un esaurimento del ruolo stesso dei partiti, sia come vettore e luogo della partecipazione dei cittadini alla vita politica (sostituiti da nuove, molteplici e più accattivanti, forme di impegno civico), sia come strumento di aggregazione e articolazione degli interessi (sostituiti da gruppi di pressione o lobbies o esautorati dagli assetti neocorporativi di governo dell’economia). Insomma, per quanto oggetto di una diffusa “impopolarità”, i partiti non sembrano destinati ad eclissarsi dalla scena delle democrazie contemporanee: le loro funzioni, vecchie e nuove, semmai, trovano alcuni potenziali concorrenti, ma non vere e proprie alternative.

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