La democrazia interna ai partiti: una chimera o una frontiera innovativa da esplorare?

Partiti e democraziadi Antonio Floridia

1. Negli ultimi anni la riflessione sui partiti, da sempre tema cruciale della scienza politica, ha visto una ripresa notevole e si sono moltiplicate, in particolare, le opere che hanno cercato di rispondere ad un quesito, variamente formulato, sulla corretta definizione da dare ai fenomeni che investono i partiti nelle democrazie contemporanee: “fine”, “crisi” e “declino”, o “trasformazione” e “adattamento”?[1]

La risposta più convincente ci sembra quella che distingue tra l’indebolirsi dei partiti nella loro capacità di esercitare alcune classiche funzioni di rappresentanza sociale e politica, e la conseguente crisi di legittimazione che ne deriva, da un lato; e dall’altro, la compenetrazione tra partiti e stato, con una crescente dipendenza dei partiti dalle risorse finanziarie e organizzative che da tale simbiosi si possono ottenere. Insomma, mentre le funzioni di “integrazione politica” si stanno erodendo, le funzioni “istituzionali” dei partiti risultano ancora più esaltate. Il partito in the public office appare ipertrofico, quello on the ground sempre più gracile. D’altra parte, sono state smentite dai fatti quelle tesi che preconizzavano, tout court, un esaurimento del ruolo stesso dei partiti, sia come vettore e luogo della partecipazione dei cittadini alla vita politica (sostituiti da nuove, molteplici e più accattivanti, forme di impegno civico), sia come strumento di aggregazione e articolazione degli interessi (sostituiti da gruppi di pressione o lobbies o esautorati dagli assetti neocorporativi di governo dell’economia). Insomma, per quanto oggetto di una diffusa “impopolarità”, i partiti non sembrano destinati ad eclissarsi dalla scena delle democrazie contemporanee: le loro funzioni, vecchie e nuove, semmai, trovano alcuni potenziali concorrenti, ma non vere e proprie alternative.

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Come se non bastasse

Beppe Grillodi Luca Lenzini

A parte Boris Godunov e Macbeth, tutti, in generale, hanno buona coscienza.
Vladimir Jankélévitch

E insomma non è bastato. Che nel 1994 alla carica di presidente del Consiglio sia assurto il cav. Silvio Berlusconi, padrone di Mediaset. Che un lustro più tardi (luglio 2009) il comico Beppe Grillo, raggiunta ampia notorietà grazie alla televisione e ai media, abbia fondato (non avendogli consentito il Partito democratico di partecipare alle “primarie”) il “Movimento Nazionale Cinque Stelle”, e che oggi (2018) sia giunto al potere alleandosi con la Lega di Matteo Salvini. Che quest’ultimo, ex-comunista padano la cui arte retorica si temprò ai microfoni di Radio Padania Libera, sia attualmente ministro degli Interni e vero dominus del governo. E per inciso, che nel frattempo, ovvero nel corso degli ultimi due anni, abbiamo assistito prima alla “Brexit” (giugno 2016) e poi alla vittoria di Trump (20 gennaio 2017) alle elezioni negli Stati Uniti… no, non è bastato (e neanche che all’origine della meteora-Renzi, per chi avesse così lunga memoria, vi fosse una serie di performance televisive).

Figuriamoci. Tutte coincidenze o meglio, anzi, fenomeni naturali: come la Globalizzazione. Così va il mondo, e in fondo sono cambiati i mezzi (prima radio e giornali, ora televisione e internet) ma siamo sempre nel contesto del democratico formarsi del consenso e della pubblica opinione. Tutto democratico, solo un po’ moderno. A volte ci sono incidenti, chissà come di quando in quando nascono delle “anomalie”; ma bene o male il tutto funziona e i mercati alla fine si calmano. Così a spiegare come stavano andando realmente le cose ci volle nientemeno che Fedele Confalonieri, il quale nel marzo 2017 in un’intervista al Foglio, così si espresse: “Stiamo esagerando”. Si riferiva ad alcuni programmi televisivi della propria azienda, i quali a parer suo avevano contribuito al clima populista dilagante. Lamento non senza conseguenze: l’anno seguente, dopo le elezioni del marzo 2018, non una ma ben tre figure apicali della pregiata ditta (Belpietro, Del Debbio e Giordano) furono d’emblée rimosse e sostituite; né lo stesso Cavaliere mancò di confermare la diagnosi del fedele e chiaroveggente manager, amaramente constatando: “abbiamo nutrito i populisti.” Finalmente qualcuno con le idee chiare, dunque, almeno per quanto riguarda le proprie aziende.

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