Per un convegno dal titolo “Diritto alla città. Territori, spazi, flussi”

Diritto alla cittàA cura della Fondazione per la critica sociale

Roma, novembre 2016

Il convegno intende riunire filosofi, architetti, urbanisti, sociologi, in un confronto sulle problematiche del territorio urbano dopo la fine della città tradizionale. Organizzato in tre sessioni tematiche – territori, spazi, reti –, ciascuna con delle relazioni, con interventi specifici e la presentazione di casi studio, avrà la durata di due giorni.

Prende le mosse dalla consapevolezza di un’avvenuta trasformazione della città, tanto da poter affermare che, così come l’abbiamo conosciuta, essa è ormai giunta alla fine. Al suo posto si stanno infatti delineando delle configurazioni prodotte da un processo di urbanizzazione a livello planetario che non dà segno di arrestarsi, incrementato com’è dalla demografia e dai massicci flussi migratori. Tutto ciò induce alla riflessione.

Nella Parigi capitale del diciannovesimo secolo, Walter Benjamin poteva ancora ritenere che la fantasmagoria delle merci esposte nei passages avesse in sé un potenziale liberatorio: qualcosa che, nel sogno del consumo ai suoi inizi, togliesse virtualmente la distinzione marxiana tra valore d’uso e valore di scambio. Alcuni decenni più tardi, Henri Lefebvre, nel suo Diritto alla città (1968), teorizzando l’urbano come “società proiettata sul territorio”, aveva indicato nella produzione dello spazio il tema principale del conflitto tra le classi sociali. Chi, come oggi Harvey, intende rifarsi al suo insegnamento pensa la città come il centro nevralgico della valorizzazione del capitale, in una maniera che rinnova i termini della vecchia lotta di classe. Su questo piano, sarebbe quindi ancora possibile riconoscere una proficua tensione tra il centro e quelle periferie in cui sono state sospinte, nel corso degli ultimi due secoli, le classi lavoratrici.

Secondo un’impostazione teorica diversa, nei primi decenni del ventunesimo secolo, in Occidente, la cultura generalizzata del consumo avrebbe depotenziato la dimensione benjaminiana del sogno, precipitandolo nei prosaici problemi dell’inquinamento e del traffico urbano, e disinnescato il tradizionale conflitto di classe inteso come motore di trasformazione sociale e politica. Esplosioni di violenza, come quelle del 2005 a Parigi o del 2011 a Londra, mostrerebbero tuttavia che, sia pure nella forma spontanea delle jacqueries urbane, la situazione della metropoli contemporanea non è per nulla pacificata e che sono tuttora presenti le discriminazioni tra cittadini di serie A e cittadini di serie B. La metropoli si è andata ridefinendo come un sistema di esclusione postcoloniale su base etnica, razziale o religiosa, secondo un processo di segregazione che riguarda una parte ampia dei suoi abitanti.

Tra i fattori “segreganti”, le condizioni di una mobilità urbana spesso insufficiente e male organizzata contribuiscono a limitare le pratiche d’uso della città e a complicare la vita quotidiana, considerando che la raggiungibilità fisica dei luoghi è diventata una discriminante di una qualità dell’urbano sempre più appannaggio di pochi privilegiati. Significativo il caso delle banlieues parigine che lamentano un sistema di trasporto pubblico radiocentrico inadeguato alle necessità di una mobilità rapida e fluida, in grado di collegare direttamente i luoghi senza essere costretti a passare per dei nodi centrali. Analogamente, Roma – dove pure le periferie sono ancora largamente monoculturali e perciò non esplosive – soffre di un congenito ritardo della rete del trasporto pubblico, insufficiente a collegare i quartieri e i centri intorno alla capitale dove è andata a risiedere un’ampia fetta di popolazione a causa dei prezzi esorbitanti delle abitazioni. Del resto, intorno al tema della mobilità urbana, nel 2014, in Brasile, il movimento Passe Livre ha posto in maniera organizzata la rivendicazione alla gratuità del trasporto pubblico ponendo la questione in termini di diritto alla città. È la prova che il tema della espansione territoriale e della qualità della vita urbana è oggi lo sfondo di qualsiasi discorso di cambiamento, anche nei paesi del sud del mondo.

Nella situazione odierna, le tre funzioni della città – urbs come insieme di case, civitas come società, polis come governo – appaiono collassare in un indifferenziato agglomerato territoriale di cui è in particolare la polis a fare le spese. Nell’epoca dei nuovi media e delle reti digitali, tuttavia, la questione della polis si ripropone in forme di social forum ancora in parte da esplorare, orientate alla consultazione permanente e alla partecipazione attiva della cittadinanza com’è il caso, sempre francese, del blog di Pierre Mansat, assessore alle periferie durante l’amministrazione del sindaco Delanoë e oggi responsabile dell’Atelier Internationale du Grand Paris, dedicato alle relazioni tra Parigi e le sue banlieues. Forme cioè di una “democrazia continua” che mirano a una politica della città fondata sulla costruzione del consenso attraverso il dialogo tra le rappresentanze politico-istituzionali e le domande dei cittadini.

Parole chiave:

centro e periferia, democrazia e spazio pubblico, conflitto e violenza, progetto e politica, beni comuni (commons) e gated communities, comunicazione e consenso, libertà e uguaglianza, arte urbana ed estetizzazione