Napoli è il mondo


di Antonio Tricomi

[Articolo uscito sulla rivista on-line Fatamorgana]

«Il caos della plebe – in cui precipitano i frantumi di classi decomposte, culture in declino, popoli vinti – è esso stesso un prodotto dello sviluppo del capitale. I senza voce hanno perso una parola che possedevano, sono stati espropriati della identità originaria, e non hanno accesso al linguaggio astratto della modernità del capitale».

Questa la tesi di fondo propostaci da Mario Pezzella in Altrenapoli (Rosenberg & Sellier). Libro che non ritrae il nostro tempo – una sorta di riaffiorato medioevo: in cima, una casta socialmente impune di signori e, alla loro mercé, un’indistinta massa di monadi vieppiù umiliate nella propria dignità – come un mero incidente di percorso sulla via della modernizzazione capitalistica. Invece, esso lo giudica l’esito naturale del plurisecolare dominio di un capitale che, «nella sua storia passata e presente», sempre si è confermato «un processo attivo di privazione di diritti, di soggettività e di parola», costringendo «interi ceti sociali che possedevano un “saper fare” specifico» a scivolare «nell’amorfia della plebe», a veder schiantato il proprio «statuto simbolico», a stiparsi in «un non essere di compattezza e mutismo». Gli attuali fenomeni di plebeizzazione patiti, nel mondo intero, dalle varie comunità nazionali discendono cioè, per Pezzella, dall’ormai incontrastato processo di accumulazione capitalistica, pronto altresì a convertire in «prodotto» ciascuna nostra città, se «lo spazio in cui si svolge la vita quotidiana è divenuto esso stesso merce in ogni sua piega». Se «l’urbano, che ha sostituito la città, non ha un nucleo unico e riconoscibile, ma si disperde poliedricamente in più centri commerciali». E se tale «processo di urbanizzazione è dunque al contempo di ruralizzazione: l’amorfa continuità dell’una nell’altra sostituisce l’antica dialettica di città e campagna». Continua a leggere “Napoli è il mondo”

Proposta di una rivista

Altraparoladi Mario Pezzella

Questo volume è dedicato a Miguel Abensour, il grande filosofo francese della politica, scomparso nel 2017. Non vuol essere solo un omaggio, ma una riflessione sulle più importanti linee di pensiero che egli ci ha lasciato in eredità. La sua opera, nonostante alcune traduzioni, è ancora relativamente poco conosciuta in Italia: noi pensiamo che i temi da lui trattati – l’utopia, il totalitarismo, la servitù volontaria – richiedano l’ora della loro leggibilità, pretendano anzi con urgenza di essere meditati, di fronte al possibile ritorno di una barbarie autoritaria e razzista. Questo volume prefigura un lavoro più generale, che prenderà probabilmente la forma di una rivista nel prossimo futuro: Altraparola. Il nostro pare uno di quei momenti della storia che Benjamin definiva col termine di “dialettica in stato di sospensione” o “in sospeso” o “sospesa”. Le forze in conflitto sono tese l’una contro l’altra in modo tale da non riuscire a prevalere o affermarsi in modo da determinare un nuovo evento, un’altra forma di vita o una decisione. “In sospeso” significa qui dunque tutto il contrario che “in quiete”, come tendevano a pensare i pensatori della fine del secolo passato che si illudevano su una fine postmoderna della storia, dei grandi conflitti e delle grandi narrazioni. Le quali sono riprese a ritmo violento (dal fondamentalismo al neofascismo) e non sono purtroppo rassicuranti. Questo non vuol dire che ricordare il pensiero il quale, nel Novecento, si è sforzato di indicare un altro mondo possibile rispetto a quello in cui ora viviamo sia inutile; ma ciò che ci interessa va estratto con cura, con un’operazione critica, da insiemi e apparati concettuali, che non possono più essere assunti nella loro interezza. Ciò vale anche per le tradizioni di teoria critica a cui siamo più legati: la Scuola di Francoforte, Benjamin, Debord e il situazionismo, Arendt, Foucault. L’orizzonte di senso della nostra ricerca è quello di un “socialismo libertario”, che pone al centro – come ebbe a definirlo Marx nei Grundrisse – la nozione di “individuo sociale”.

Scarica il volume

Il capitalista e il padrone. Note su Marx e Lacan

di Mario Pezzella

[Relazione presentata al convegno Marx e la critica del presente (novembre 2018) e apparsa, in forma leggermente diversa, in P.P. Poggio, C. Tombola (a cura di), L’ultima rivoluzione. Figure e interpreti del Sessantotto, Brescia, Fondazione Micheletti, 2019].

Non parlerò in questa sede di Lacan in generale; mi limito a ricordare che secondo gli interpreti più autorevoli1 esistono tre periodi nel suo pensiero, con caratteri anche molto diversi: il primo, dominato dalla logica kojeviana-hegeliana del riconoscimento intersoggettivo (la relazione analitica parte da una parola vuota, in cui il paziente si trova nella posizione del servo di fronte a un padrone supposto-sapere; l’analisi rovescia questa dissimmetria, dissolvendo la struttura stessa del rapporto servo-padrone e lasciando emergere la singolarità irriducibile del soggetto e del suo desiderio); il secondo dominato dalla concezione dell’inconscio come linguaggio e dallo strutturalismo dell’ordine simbolico; il terzo in cui l’onnipotenza di questo ordine si sgretola, di fronte all’impossibilità di assorbire completamente nel simbolico pulsioni e singolarità soggettive (o ciò che Lacan chiama l’irriducibile e perturbante Reale)2. Noi ci occuperemo solo di quest’ultimo periodo e precisamente di alcuni nodi problematici in cui Lacan si confronta col pensiero di Marx ed emerge la sua concezione dell’inconscio sociale. Scarto di proposito quelli che si prestano solo a una vaga analogia e mi rivolgerò a tre livelli o tre gradi di pensiero: il discorso del capitalista, il lato osceno del potere, l’alienazione.

Nel corso di scritti e seminari tenuti negli anni dal 1968 in poi3, Lacan ha sempre più distinto un «discorso del capitalista» dal tradizionale «discorso del padrone». Il primo sarebbe caratterizzato da una inedita «ingiunzione al godimento», caratteristica del capitalismo nella sua fase di dominio della fantasmagoria consumista delle merci, mentre il secondo era ancora dominato dal rapporto servo-signore e dalla lotta per il riconoscimento. Questa riflessione di Lacan è direttamente condizionata dagli eventi del ’68 e dal difficile dialogo con gli studenti in rivolta, i quali, secondo Lacan, avrebbero continuato a ragionare pensando a un «padrone repressivo» nei riguardi del desiderio, piuttosto che a un capitalista produttore di godimento consumistico.

Continua a leggere “Il capitalista e il padrone. Note su Marx e Lacan”

La Comune di Parigi, un urbanesimo rivoluzionario

Mario Pezzella

[Intervento al convegno “Diritto alla città”, Roma, 24-25 novembre 2016]

La Comune – il suo tentativo di rivoluzionare lo spazio urbano e sociale – rappresenta per Lefebvre un possibile sconfitto e represso nel passato, ma che pure può ripresentarsi attuale nel presente. Quest’idea è legata alla concezione filosofica generale di Lefebvre, secondo cui la realtà storica è una pluralità di possibili coesistenti, e non solo la linea maestra e univoca del progresso imposta dai vincitori del momento. In condizioni mutate, un possibile prima sconfitto può riattualizzarsi e modificare retrospettivamente la nostra percezione del passato nel suo insieme: d’altra parte il possibile nel senso in cui ne parla Lefebvre non è una fantasia arbitraria sostituibile con altre, ma possiede una sua oggettività storica documentabile e ricostruibile, benché dimenticata o posta fuori dall’ordine del discorso: “Il passato diviene o ridiviene presente in funzione della realizzazione dei possibili oggettivamente inclusi nel passato. Esso si svela e si attualizza con essi”1. La Comune è un possibile di questo tipo e in questo senso, anzi è un nesso di possibiltà che investe tutti i campi e i settori della vita associata. Ovviamente è qui impossibile considerare tutti gli aspetti politici, istituzionali, artistici, linguistici, giuridici, coinvolti dall’utopia rivoluzionaria della Comune secondo Lefebvre. Ci limiteremo a considerare alcune osservazioni che egli dedica al modo in cui la Comune ha considerato la città e il suo destino storico.

Tra gli obiettivi della Comune, c’era la riappropriazione della città, che le trasformazioni di Haussmann avevano iniziato a rendere estranea agli strati popolari della città. D’altra parte questa estraniazione non è in quell’epoca completa, gli spazi e gli edifici della città ancora si contrappongono secondo strutture simboliche distinte, sono ancora una proiezione spaziale delle separazioni sociali e lavorative: “La Parigi militare e la Parigi ufficiale (statuale e governamentale) con i loro palazzi, i loro monumenti e le loro strade, proiezione sul terreno della struttura sociale e politica, si sovrappongono senza soffocarla alla Parigi popolare”2. La città è trasfigurata da una estesa immaginazione mitica, che diviene essa stessa parte della lotta politica, appare come “Città santa”, Gerusalemme e Terra Promessa, dal cui possesso dipende per intero la salvezza degli abitanti: “Il popolo ha santificato la Babilonia moderna. La città dei re e degli imperatori diviene la Città santa “assisa ad Occidente” (Rimbaud), Gerusalemme e Roma del mondo moderno”3. La critica generale della separazione – degli spazi, dei lavori, degli universi simbolici – imposta dal capitale è l’intenzione generale della Comune, ed essa investe anche la città come luogo simbolico materiale: La Parigi insorta ha ancora la forza di voler combattere la sovrapposizione della città come luogo centralistico del potere statale alla dispersione e alla festa della vita popolare della città (di questa lotta è sintomo e simbolo l’abbattimento della colonna Vendôme ).

Continua a leggere “La Comune di Parigi, un urbanesimo rivoluzionario”