di Antonio Tricomi
Già sindaco leghista del comune di Gorle, in provincia di Bergamo, oggi Marco Ugo Filisetti occupa la carica di Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per le Marche. Lo scorso 14 settembre, per l’inizio del nuovo anno scolastico, egli ha sentito di dover rivolgere un caloroso messaggio di saluto agli studenti marchigiani. Un messaggio nel quale, tra l’altro, si legge:
A voi studenti ancora una volta ricordiamo, oltre all’impegno nello studio, l’esercizio dell’autocoscienza, che si interroga a partire dall’identità. Chi sono? chi sono i miei “padri”? quale passato? Perché è la memoria storica, la consapevolezza delle proprie radici che unisce una comunità, un popolo indicando il possibile futuro.
Il processo di crescita, nella scuola vi porti alla conoscenza di voi stessi, a essere persone autentiche che confessano e professano le proprie idee, le attestano, le provano e le realizzano, sino ad esserne “martiri”.
Per questo siate coraggiosi come solo la gioventù sa esserlo, guardando con occhi impassibili tutte le difficoltà che il futuro pone davanti. Non disperate, mai, perché la speranza è la radice di ogni progetto, la molla per comunicare con gli altri, la forza che sorregge ogni seminagione.
Senza speranza non vi può essere nessun progetto di vita, di crescita per voi e per la Comunità che è intorno a voi, cammina con voi e continuerà a camminare grazie a voi.
Il futuro che sognate per voi e per la Comunità a cui appartenete si realizza se diventa passione, se diventa fede, se diventa destino. E la storia assicura un destino solo quando la vita scorre impetuosa nelle vene della Comunità, quando è presente una gioventù consapevole che il domani le appartiene.
Una settimana più tardi, come si sa, le elezioni regionali hanno decretato, nelle Marche, la vittoria di Francesco Acquaroli. Già militante di Alleanza Nazionale e poi del Popolo delle Libertà, iscritto da otto anni a Fratelli d’Italia ed ex sindaco di Potenza Picena, comune della provincia di Macerata, costui è stato sostenuto, nella propria candidatura, da una coalizione di centro-destra composta da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e da alcune liste civiche. Grande estimatore – a suo stesso dire – del filosofo sovranista e opinion-maker telegenico Diego Fusaro, Acquaroli ha però potuto ovviamente contare, in campagna elettorale, soprattutto sull’appoggio incondizionato di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Non per nulla, lo scorso 20 agosto, i due erano assieme a San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, durante l’esibizione dei paracadutisti della Società Sportiva Lazio Paracadutismo capitanati da Lino Della Corte. Show che ha visto atleti e campioni variamente assortiti rendersi protagonisti di voli acrobatici in onore del partito guidato dall’onorevole Meloni. I paracadutisti, sulle note della celebre romanza Nessun Dorma inclusa nella Turandot di Giacomo Puccini, sono scesi dal cielo con due enormi drappi. Con un tricolore di cinquecento metri quadrati. Con una bandiera di centosettanta metri quadrati nel quale fiero campeggiava lo slogan elettorale di Fratelli d’Italia: “Vogliamo un’Italia libera, forte e coraggiosa”.
Qualche giorno fa, per celebrare la giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate, Filisetti è tornato a rivolgersi agli studenti marchigiani. Ecco il suo vibrante messaggio:
In questo giorno il nostro reverente pensiero va a tutti i figli d’Italia che dettero la loro vita per la Patria, una gioventù che andò al fronte e là vi rimase.
Una gioventù lontana dai prudenti, dai pavidi, coloro che scendono in strada a cose fatte per dire: “Io c’ero”. Giovani che vollero essere altro, non con le declamazioni, ma con le opere, con l’esempio consapevoli che “Un uomo è vero uomo se è martire delle sue idee. Non solo le confessa e le professa, ma le attesta, le prova e le realizza”.
Combatterono per dare un senso alla vita, alla vita di tutti, comunque essi la pensino.
Per questo quello che siamo e saremo lo dobbiamo anche a Loro e per questo ricordando i loro nomi sentiamo rispondere, come nelle trincee della Grande Guerra all’appello serale del comandante: PRESENTE!
Vanno anzitutto tranquillizzate le famiglie degli studenti: marchigiani, e non solo. Il sistema scolastico italiano probabilmente non è tra i migliori, e quanti lo dirigono non perdono mai occasione di dimostrare di chi sia la principale colpa. Ad ogni modo, in esso prestano servizio umiliati dipendenti pubblici ancora capaci, in ossequio alla nostra Carta costituzionale e in piena coscienza, di disubbidire a certi loro superiori per insegnare ai propri allievi le giuste norme della sintassi, il corretto uso della punteggiatura, un lessico che non sia il residuato del culturame e dello squadrismo fascisti. Imbelli docenti ancora in grado, cioè, di non esercitare forma alcuna di autoritarismo nel guidare gli alunni a pensare, a esprimersi, a schierarsi ciascuno con la propria testa, e quindi in maniera senz’altro più decorosa di taluni imperterriti nostalgici del Ventennio (“Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”, cantavano i ventimila camerati adunatisi a Milano nel marzo del 1922) che governano l’istituzione preposta alla loro istruzione, alla loro educazione civica. Un’istituzione in cui non si introducono peraltro i ragazzi esclusivamente al pensiero di Giovanni Gentile (autore che, per di più, Filisetti tralascia di citare in maniera del tutto pertinente). Né, tantomeno, li si esorta a qualsivoglia forma di fanatismo o persino al martirio in nome della strenua difesa delle proprie riscoperte radici magari nazionali o – perché no? – cristiane.
Le famiglie degli studenti possono stare serene, e non nella pericolosa accezione renziana del termine. Benché nella gran parte dei casi da includere nelle fila di quel ceto medio storicamente incline ad affidarsi, nei momenti di grave crisi economica e culturale, a cesari smaniosi di debellare il morbo delle diversità comunque intese, i docenti italiani, e nella fattispecie marchigiani, ritengono ancora che spronarli al senso critico e al senso storico non voglia mai dire agevolare, negli alunni, lo sprofondamento in foschi orizzonti particolaristici, e anzi neo-tribali, né esortare i ragazzi a immaginarsi futuri soldati pronti a morire per la patria o per la sovranista supremazia della loro identità nazionale sulle altre. E invece significhi sollecitarli al multiculturalismo e all’accoglienza dell’altro, anche quando costui sia magari approdato – in barba ai respingimenti invocati dal Capitano – a Lampedusa. Significhi insomma iniziarli a un relativismo culturale che mai risulti sinonimo di ignavia, o di indifferenza morale, e che sappia sempre dimostrarsi, viceversa, l’irrinunciabile prerequisito di un laico confronto alla pari sulle idee, per le idee.
E non si allarmino, in special modo, le famiglie dei tanti ragazzi di origine marocchina o tunisina o algerina o pakistana o cinese o albanese che vivono nelle Marche. Appena si sarà chiusa la parentesi della didattica a distanza e si potrà dunque tornare a scuola, tali padri, tali madri mandino senza angosce i loro figli nelle aule dei vari istituti di istruzione disseminati nella regione. Appeso a una delle quattro pareti che delimitano ciascuno di quegli spazi sempre troppo angusti e spesso sguarniti delle necessarie attrezzature informatiche, costoro al massimo troveranno – e, sia chiaro, non è giusto – un crocifisso. Sotto il quale, ad accomodarsi dietro una cattedra magari del secolo scorso (giacché denari, per la scuola, se ne stanziano solo quando incombe una tornata elettorale), essi non vedranno avvicendarsi nerboruti gerarchi propensi a trasformarli in una “Comunità” (rigorosamente con la maiuscola) smaniosa di lanciarsi alla conquista dell’Abissinia. Scorgeranno, invece, lavoratori socialmente delegittimati – in primo luogo dalle parole dei superiori – ma pur sempre pronti a favorire l’incontro tra le loro diverse attitudini individuali e culture di provenienza. Il tutto, senza in alcun modo ambire a soffocare una sola di quelle fisionomie intellettuali al fine di imporre, a ciascuna di esse, una qualche univoca tradizione identitaria da ossequiare. Il tutto, allora, per consentire agli allievi di lavorare i saperi di partenza e quelli acquisiti in classe per modellarne, insieme, uno nuovo. Nuovo anche per l’educatore. Un sapere che, se renderà comunità tali ragazzi, li renderà però una comunità (entusiasticamente con la minuscola) con talmente tante radici, da non averne alcuna. Da sapersi fondare esclusivamente sulle proprie foglie, sui propri frutti. È la democrazia, bellezza.
Dopo aver letto il secondo messaggio di Filisetti agli studenti marchigiani, il portavoce nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, ha dichiarato che il suo partito presenterà a breve un’interrogazione in parlamento e chiederà “un intervento deciso” della ministra dell’Istruzione: l’onorevole Lucia Azzolina. Alla quale, da docente di Storia e Filosofia nei Licei, di certo non sfuggirà che il dipendente del MIUR in questione ha ricalcato, nella sua ispirata missiva, un passaggio del discorso di Mussolini per la nascita dei Fasci italiani di combattimento.
Bello però sarebbe che il presidente delle Marche, e con lui le classi dirigenti nazionali della Lega, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia, intervenissero, ancor prima di ogni eventuale discussione parlamentare, per prendere nettamente le distanze dai contenuti, dai toni della lettera firmata da Filisetti. In tal maniera, peraltro dimostrerebbero che sono in torto tutti coloro che, vivendoci, ormai da tempo – magari da quel 3 febbraio di due anni fa che vide Luca Traini (precedentemente candidatosi con la Lega per le elezioni comunali di Corridonia del 2017) sparare colpi di pistola nel centro cittadino di Macerata contro immigrati di origine sub-sahariana – hanno un’idea assai precisa delle cattoliche e – quasi per antonomasia – medie, cioè piccoloborghesi, Marche. Più di qualcuno si crede insomma legittimato, non da oggi, a ritenerle uno fra i principali laboratori politici di quel nuovo sanfedismo italiano sul cui declino in troppi si stanno forse illudendo. La pandemia da Covid-19 non lo sta infatti spazzando via. Come quando si tira indietro e poi di colpo si rilascia un elastico, che a quel punto schizza via lontano, essa sta solo consentendo a tale greve sentire comune di prendere la rincorsa per mettersi presto in condizione di compiere, una volta terminata l’emergenza sanitaria, un poderoso salto in avanti. Perché, se non fascismo, il nostro tempo però trasuda un’“oscura voglia, e disperata, di dimissione e servitù”, oltre a conoscere massicce schiere di “ingannati” sovente fieri, appunto per sconforto, di esserlo.
Vecchie parole, queste ultime, non di Julius Evola – e speriamo che Filisetti non se ne abbia troppo a male –, ma di un utopista cronicamente eretico. Parole di Franco Fortini.