Sul dibattito intorno a “Città fai-da-te”

Dibattitodi Carlo Cellamare

Gli interventi di Massimo Ilardi e Rino Genovese su questo sito, a partire dal mio libro Città fai-da-te, sollevano un dibattito molto interessante e mi sollecitano alcune considerazioni che vorrei condividere. Con prudenza e modestia, data la delicatezza delle questioni.

In primo luogo, non penso che la politica possa ridursi a un conflitto di interessi, a un rapporto di forze in campo. Il conflitto svolge un ruolo fondamentale nella vita politica e si radica nella diversità e nel confronto delle posizioni, a loro volta agganciate a interessi in campo, ma la politica ha anche la funzione di costruire una visione del futuro, un progetto di futuro. Quello che facevano nel passato le ideologie e che ora si è disperso. Il conflitto si aggancia a un sistema di interessi che si coagula in un’idea di società, in una prospettiva di convivenza che costituisce il riferimento per un insieme di forze politiche e sociali. Altrimenti, tra l’altro, non avremmo la possibilità di costruire proposte consistenti, ma soltanto una dispersione di posizioni. Le ideologie sono venute meno a questa funzione sia perché non rispondono più adeguatamente alle esigenze sociali in campo e alle prospettive di futuro, sia perché è cambiata la società cui si riferivano. Sempre più mi pare si richieda una politica che sia “significante”, ovvero che risponda in maniera più pertinente alle esigenze e ai vissuti delle persone. Per questo vi è spesso, in maniera diffusa, quello che a Ilardi non piace molto, cioè la ricerca di un riferimento (in maniera implicita o esplicita) a un sistema di valori (il termine può non piacere e possiamo cercarne un altro, ma il significato è quello), un insieme di elementi che vengono considerati importanti per la propria vita (e qui ci avviciniamo a un sistema di “interessi”) e che costituiscono la base di un progetto di futuro. Ne sono un esempio l’ambientalismo o meglio il tema dell’ecologia integrale, ma anche il valore delle differenze e dell’accoglienza (e quindi la lotta al razzismo), e anche la lotta alle disuguaglianze e alla precarietà urbane. Non si tratta solo di fattori ideali, ma di valori molto concreti in risposta a situazioni che minacciano da vicino la vita delle persone, sia direttamente sia attraverso il modello di sviluppo prevalente (e l’esperienza del coronavirus non ce lo potrebbe confermare meglio).

Il riferimento a un sistema di valori può apparire “regressivo” rispetto alle strutture delle lotte sociali ed economiche tradizionali, ma la questione è che il modello di sviluppo è diventato molto più invasivo rispetto alla vita delle persone e vengono attaccati i fondamenti stessi della convivenza civile (pensiamo qui al tema della biopolitica). Ci confrontiamo con una situazione di radicalità.

Più in generale, in secondo luogo, sono cambiate la società e le situazioni a cui un certo tipo di politica faceva riferimento; e questa risulta oggi insoddisfacente. Se la politica è riferita all’essere-insieme, per ricostruire la politica bisogna reinterrogarsi e ri-attingere allo stare insieme, al sociale. Bisogna superare l’autoreferenzialità di una politica (e di un modo di intenderla) che non risponde più alle esigenze sociali, non si radica più nel “magma dei significati sociali” (per dirla con Castoriadis). Da qui appunto il bisogno di tornare a interrogare il sociale, a ri-radicarsi nelle pratiche e nei processi sociali per dare un senso all’azione politica.

Questo ha molte implicazioni. In un’interpretazione della politica come conflitto di interessi, come lotta tra “forti”, mi sembra di poter dire che c’è già un vincitore, quasi inesorabilmente, e forse senza possibilità di venirne fuori. Non è soltanto l’economico che prevale sul politico, ma è un modello di sviluppo, di organizzazione sociale, di vita che prevale sulle possibilità alternative. Ad esempio, per Jean-Luc Nancy: “L’economico non può più essere rappresentato come un’infrastruttura. Non c’è più l’economia, c’è l’ecotecnia, la strutturazione mondiale del mondo come spazio reticolato dell’organizzazione capitalista, mondialista e monopolista per essenza, che monopolizza il mondo”. Riferirsi al tema del “consumo” come via di uscita (pur nella sua intelligente articolazione, come nel caso di Ilardi), in realtà mi sembra una strada arida e anche inefficace. Mi sembra un piegarsi di fatto, anche se con qualche sotterfugio, a un modello prevalente di vita subalterna. Certo non ci darà una maggiore libertà, se non apparente.

In questa situazione di prevalenza di un modello di sviluppo è venuta meno la politica per come la conoscevamo. Erano condizioni più favorevoli quelle della lotta politica che conoscevamo, ora non sembrano più date. Non è un caso che, se è venuta meno la politica in senso “costruttivo”, oggi rimane molto invece della dimensione della rivolta, della decostruzione, della logica “destituente”. Per molti versi sembra il poco spazio di azione che sia rimasto a disposizione; anzi è una chiara testimonianza di quanto poco ne sia rimasto.

Per questo, se si vuole dare un senso alla politica, ricostruirla, bisogna battere un’altra strada rispetto a quella consolidata, riconosciuta, di una democrazia che è prevalentemente formale e dove le forze in campo segnano già il vincitore, la logica prevalente. È quello che cercano di fare molte esperienze sul campo, quelle raccontate in Città fai-da-te, in una ricerca estremamente difficile, in uno sforzo di creatività, non scevro di ambiguità o di vicoli ciechi. Si collocano fuori dal terreno tradizionale della politica o in una condizione liminale; una condizione liminale e di conflitto in cui cercano di portare una logica totalmente diversa. E mantengono questa posizione (che è una situazione di esistenza in vita di un progetto politico collettivo), di fatto, da una condizione di inferiorità, di forze impari, ma pure significativo.

Sicuramente, in questa situazione difficile e in una transizione che non si sa bene dove ci porta, rimane aperto il tema della costruzione di un soggetto politico, di fronte alla frammentarietà dei soggetti “metropolitani”, per loro natura frammentati e che la logica del consumo tende a polverizzare e a disperdere (facendo prevalere l’individualismo) e non certo ad aggregare. Ma non è battendo la strada del “consumo” che potremo ricostruire un soggetto politico, né una forza politica alternativa.

Riprendendo ben altri pensatori più autorevoli di me, io intendo la politica come relazione, come “annodare”, ed è su questo terreno che mi sembra interessante lavorare. E penso ancor più che, proprio perché è attaccata la nuda vita, la politica passi oggi attraverso i corpi e i progetti di vita delle persone e dei gruppi: attraverso una praxis (non una poiesis), attraverso un essere politica più che un fare politica (in senso tradizionale). Mi sembra molto interessante che molte realtà, anche tra quelle raccontate in Città fai-da-te, scelgano di realizzare concretamente situazioni e progetti di vita condivisi, alternativi a quelli del modello prevalente. Non si tratta di una logica “costituente” quanto piuttosto di una praxis. Per ora questo può forse non costituire una forza secondo le vecchie logiche della lotta politica, ma mi sembra un terreno fertile di lavoro. Ed è per questo che mi sembra interessante capire cosa ci vuole dire.

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